Cessione di sostanze stupefacenti: fattispecie a condotte alternative

Cass. pen., Sez. VI, 3 marzo 2025, n. 8625
LA MASSIMA
“In tema di reati concernenti sostanze stupefacenti, le diverse condotte previste dall’art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, perdono la loro individualità, con conseguente esclusione del concorso formale per effetto dell’assorbimento, se costituiscono manifestazione di disposizione della medesima sostanza e risultano poste in essere contestualmente o, comunque, senza apprezzabile soluzione di continuità, in funzione della realizzazione di un unico fine”.
IL CASO
I fatti di causa sottesi alla pronuncia in commento concernono il giudizio di condanna emesso dalla Corte d’Appello – in parziale riforma del pronunciamento reso dal giudice di prime cure – nei confronti del ricorrente condannato, previo riconoscimento del vincolo della continuazione con reato oggetto di separata sentenza, alla pena ritenuta di giustizia per i reati di acquisto e cessione di cocaina.
Avverso la decisione emessa in sede di gravame, l’imputato ricorreva per cassazione affidando alla difesa plurimi motivi di censura.
Per quanto d’interesse in questa sede, si denunciava violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati contestati nell’atto di appello, che, ad un più attento giudizio, integravano un unico reato, in armonia con il canone ermeneutico volto a dare rilievo al susseguirsi di atti diretti ad un unico fine, senza sostanziale soluzione di continuità.
A giudizio della difesa, la valorizzazione degli elementi probatori costituita dall’identità del cedente e dell’assuntore e che entrambi si fossero recati sul luogo dove acquistare la droga per la successiva rivendita, avrebbe dovuto condurre ad un giudizio di unicità del reato.
LA QUESTIONE
L’argomento scrutinato dalla Sesta Sezione rappresenta un punto nevralgico dell’odierno apparato d’incriminazione in materia di stupefacenti, tanto da registrare un record assoluto di pronunce ed un’attenzione sempre viva, a riprova della pregevole finalità del giudice delle leggi di segnare un preciso percorso ermeneutico.
La questione di diritto attiene alla possibilità di configurare un concorso formale tra le fattispecie di acquisto e successiva rivendita di sostanza drogante, ex art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, realizzatesi in un contesto spazio-temporale sostanzialmente unitario, aventi il medesimo oggetto e perfezionatesi con riguardo allo stesso quantitativo.
LA SOLUZIONE
Il collegio giudicante ha concluso per la sussistenza del reato unico tra le ipotesi accusatorie oggetto di contestazione, ponendosi, così, nel solco di alcuni precedenti già espressi dalla medesima Corte in materia.
Sullo sfondo della decisione resa è possibile scrutare, infatti, gli approdi di quel consolidato orientamento inaugurato dalla medesima Corte nella sua più alta composizione che propende per un giudizio di esclusione del concorso formale per effetto dell’assorbimento nei casi in cui le condotte previste dall’art. 73 cit. fossero state poste in essere contestualmente e all’interno di un’unica dimensione spaziale e temporale.
Muovendo da una valorizzazione degli elementi strutturali dell’art. 73, l’indirizzo in esame ne tratteggia il profilo di una norma cumulativa, al cui interno si annidano distinte fattispecie di reato.
Le diverse condotte gemmate dal disposto normativo perdono la propria individualità quando si riferiscono alla stessa sostanza stupefacente e sono indirizzate ad un unico fine, sicché, se consumate senza un’apprezzabile soluzione di continuità, devono considerarsi come condotte plurime di un unico reato.
Ciò che ne discende, è un preciso metro di giudizio per l’interprete chiamato ad effettuare una valutazione non atomistica della singola condotta, ma che deve invece essere contestualizzata e considerata nel suo concreto atteggiarsi e non quale fotogramma estraneo alla realtà in cui si appalesa.
Rifuggendo da comodi automatismi ed ispirandosi a siffatta criteriologia ascrittiva della responsabilità, la decisione rassegnata dal giudicante dovrà essere la risultante di un più ampio giudizio che coinvolga ogni peculiare caratteristica del caso concreto quali: la quantità di volta in volta ceduta, l’omogeneità/eterogeneità delle sostanze stupefacenti detenute o cedute dal reo, la medesimezza dei soggetti coinvolti nonché le circostanze di tempo e di luogo di consumazione del reato.
Percorrendo le suesposte direttrici ermeneutiche, la Cassazione ha accolto solo parzialmente il ricorso, ritenendo sussistente il concorso formale in relazione alle residue ipotesi oggetto di contestazione, per le quali sono risultati mancanti gli elementi comprovanti la piena coincidenza tra quanto acquistato e contestualmente consegnato.
Per tale motivo, la Corte – riqualificate come unico reato soltanto alcune delle condotte di acquisto e cessione indicate nell’editto accusatorio – ha disposto con riferimento ad esse l’annullamento della sentenza limitatamente alla determinazione della pena, imponendo una nuova valutazione di merito, che individui il reato più grave e correlativamente escluda l’ipotesi assorbita ai fini dell’aumento per la continuazione.