Cedu, Diritto Penale, Sentenze

CEDU – Causa Sallusti c. Italia – 7 marzo 2019

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 7 marzo 2019 – Ricorso n. 22350/13 – Causa Sallusti c. Italia
IL DISPOSITIVO
– la sanzione penale inflitta al ricorrente è stata per natura e severità manifestamente sproporzionata al fine legittimo invocato;
– i tribunali interni hanno ecceduto quella che avrebbe costituito una “necessaria” restrizione della libertà di espressione del ricorrente;
– l’ingerenza non era pertanto “necessaria in una società democratica”;
– vi è stata violazione della libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU.
IL CASO
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nella sentenza in esame ha riconfermato il proprio consolidato orientamento secondo il quale l’inflizione di una pena detentiva, benché commutata in pecuniaria, a un giornalista colpevole di diffamazione costituisce una violazione dell’art. 10 CEDU, che sancisce il diritto alla libertà di espressione.
Nel caso di specie, in primo grado l’imputato veniva ritenuto colpevole di diffamazione aggravata ai sensi dell’articolo 595 c.p. per l’articolo pubblicato con lo pseudonimo di “Dreyfus”, nonché per omesso controllo, ex art. 57 c.p., in ordine all’articolo redatto da A.M. Ciò in quanto il Tribunale riconosceva la totale falsità delle informazioni contenute nei suddetti articoli.
La Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, sottolineava che gli articoli in questione avevano riferito informazioni false e riteneva che la pena inflitta fosse eccessivamente mite alla luce della gravità del reato commesso e della constatazione che l’appellante era recidivo. Quindi, rideterminava la pena in un anno e due mesi di reclusione, confermando la multa di EUR 5.000.
La Corte di Cassazione confermava le conclusioni della Corte di appello, con riguardo alla responsabilità sia ai sensi dell’art. 57 c.p. per il carattere diffamatorio dell’articolo a firma A.M., sia ai sensi dell’articolo 595 c.p. per l’articolo pubblicato con lo pseudonimo di “Dreyfus”.
Il ricorrente chiedeva al Presidente della Repubblica italiana di commutare la pena detentiva residua in una pena pecuniaria. La domanda veniva accolta e la sua pena detentiva veniva commutata in una pena pecuniaria pari a EUR 15.532.
LA QUESTIONE
Successivamente, il ricorrente adiva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sostenendo che la sua condanna per diffamazione e per omesso controllo sul contenuto dell’articolo diffamatorio violava l’articolo 10 CEDU.
LA SOLUZIONE
Nella sentenza in commento, la Corte EDU, innanzitutto, ha ritenuto di non doversi discostare dalla ricostruzione effettuata dai giudici di merito, né in relazione all’accertata falsità delle informazioni presenti negli articoli, né al loro contenuto diffamatorio, né al mancato rispetto delle regole etiche del giornalismo, che impongono al giornalista di verificare la veridicità delle informazioni prima di diffonderle.
Inoltre, la Corte ha precisato che il direttore di un giornale non può essere dispensato dall’obbligo di controllare gli articoli pubblicati da esso ed è responsabile del loro contenuto.
Premesse tali considerazioni, la Corte ha sostenuto che le autorità interne avevano il diritto di limitare l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e che conseguentemente la condanna per diffamazione e omesso controllo soddisfaceva una “pressante esigenza sociale”.
Tuttavia, ha poi ritenuto di dover verificare se l’ingerenza in questione fosse proporzionata al fine legittimo perseguito, alla luce delle sanzioni inflitte.
A tal riguardo, viene chiarito che l’irrogazione di una pena detentiva, ancorché sospesa, per un reato connesso ai mezzi di comunicazione, può essere compatibile con la libertà di espressione dei giornalisti garantita dall’articolo 10 CEDU solo in circostanze eccezionali, ossia qualora siano stati lesi gravemente altri diritti fondamentali, come, ad esempio, accade in caso di discorsi di odio o di istigazione alla violenza.
Dunque, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’inflizione della pena detentiva non fosse giustificata e che la circostanza che la pena detentiva del ricorrente fosse stata sospesa non modificava tale conclusione, in quanto la commutazione di una pena detentiva in una sanzione pecuniaria è una misura soggetta al potere discrezionale del Presidente della Repubblica italiana. Inoltre, tale atto di clemenza esime i condannati dall’espiazione della pena, ma non estingue gli effetti penali della loro condanna.
In conclusione, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha affermato che:
– la sanzione penale inflitta al ricorrente è stata per natura e severità manifestamente sproporzionata al fine legittimo invocato;
– i tribunali interni hanno ecceduto quella che avrebbe costituito una “necessaria” restrizione della libertà di espressione del ricorrente;
– l’ingerenza non era pertanto “necessaria in una società democratica”;
– vi è stata violazione della libertà di espressione garantita dall’art. 10 CEDU.