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Cassazione 2025: indebito ottenimento di agevolazioni contributive per i lavoratori in mobilità è reato a consumazione prolungata

Cass., Sez. Un., 26 marzo 2025, n. 11969

LE MASSIME
“Integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche previsto dall’art. 316-ter cod. pen. l’indebito conseguimento del diritto alle agevolazioni previdenziali e alla riduzione dei contributi dovuti ai lavoratori collocati in mobilità per effetto della omessa comunicazione dell’esistenza della condizione ostativa prevista dall’art. 8, comma 4-bis, legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato, a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012, n. 92), senza che assumano rilievo, a tal fine, le modalità di ottenimento del vantaggio economico derivante dall’inadempimento dell’obbligazione contributiva“;
“In tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche, nell’ipotesi in cui il diritto alla riduzione dei contributi previdenziali e alle agevolazioni previste per il collocamento dei lavoratori in mobilità dall’art. 8 legge 23 luglio 1991, n. 223 (abrogato a decorrere dal 1 gennaio 2017, dall’art. 2, comma 71, lett. b), legge 28 giugno 2012, n. 92) sia stato indebitamente conseguito per effetto di una originaria condotta mendace od omissiva, il reato è unitario a consumazione prolungata quando i relativi benefici economici siano concessi o erogati in ratei periodici e in tempi diversi, con la conseguenza che la sua consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo“.

IL CASO
La vicenda trae origine dalla condanna in secondo grado, della società a responsabilità limitata T.Z., ritenuta responsabile di non aver dichiarato, nelle richieste di agevolazioni contributive allegate alle comunicazioni di assunzione delle liste dei lavoratori collocati in mobilità dell’impresa F. s.p.a., la sussistenza di condizioni ostative alla contribuzione agevolata, previste dall’art. 8 comma 4 bis legge 23 luglio 1991 n.223. Invero, grazie a tali agevolazioni contributive la T.Z. s.r.l., — parte del Consorzio realizzato da F. s.p.a., che con diversa veste giuridica continuava a svolgere la medesima attività imprenditoriale — era riuscita ad ottenere, fino al 31 dicembre 2008, l’indebito conseguimento della riduzione degli oneri contributivi dovuti all’I.N.P.S., per le posizioni di 210 lavoratori assunti a seguito della messa in mobilità dei lavoratori originariamente impiegati presso l’impresa F. s.p.a., che al momento del licenziamento, presentava assetti proprietari coincidenti con l’impresa assumente, ovvero risultando con quest’ultima in rapporto di collegamento o controllo. A seguito del primo grado di giudizio, in accoglimento di uno dei motivi di appello, la Corte d’Appello competentemente, non ritenendo la sussistenza di condotte fraudolente a monte dell’azione della T.Z.
s.r.l., riqualificava il reato presupposto dell’illecito amministrativo di cui all’artt. 5 comma 1 lett. a), 6, 24, comma 2 dlgs 8 giugno 2001 n.231, nella fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., anziché truffa aggravata di cui all’art. 640 bis c.p.. In particolare, ai fini della sussistenza dell’art. 316 ter, la Corte distrettuale evidenziava la mancata comunicazione di un dato informativo necessario, ovvero l’insussistenza del presupposto per l’operatività della disciplina relativa alla riduzione dei contributi previdenziali per i lavoratori messi in mobilità, con il conseguente risparmio di spesa per la società, per un complessivo importo di euro 3.397,641,00 per il periodo ricompreso dal 2002 al 2008.

LA QUESTIONE

Avverso la sentenza del giudice di appello, proponeva ricorso in Cassazione la T.Z. s.r.l., adducendo tra i motivi, violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla configurabilità dell’illecito di cui al combinato disposto degli artt. 316 ter e 24 comma 2 dlgs 8 giugno 2001 n.231. In particolare, a parere dei difensori, nonostante l’astratta riconducibilità della vicenda nello schema normativo dell’indebita percezione di erogazioni pubbliche, la condotta contestata presenta peculiarità tali da “scollarsi” da tale schema, in ragione dell’utilizzo di modelli uniformi, adoperati mensilmente dal datore di lavoro per ottenere il beneficio della “decontribuzione”, mediante compensazione di quanto dovuto all’I.N.P.S., con il credito virtuale riveniente dalle agevolazioni riconosciute in concomitanza dell’assunzione iniziale di ogni dipendente proveniente dalle liste di mobilità. Di conseguenza, inoltre, secondo i difensori, il fatto che l’I.N.P.S. avesse attribuito mensilmente un codice identificativo alle operazioni dell’imputato, implicava di per sé una ripetuta attività di verifica da parte dello stesso I.N.P.S., e non meramente un controllo svolto in via eventuale e provvisoria. Altra questione critica sottoposta al vaglio della Suprema Corte, riguardava poi, la natura del reato di cui all’art. 316 ter c.p., ai fini della prescrizione dell’illecito amministrativo. La Corte territoriale aveva ritenuto il reato presupposto di cui all’art. 316 ter c.p., come un’unica fattispecie a consumazione prolungata, intercorrente dal 2002 al 2008, anziché un reato continuato, come invece sostiene la difesa, costituito da singole condotte di indebita compensazione poste in essere attraverso l’utilizzo dello specifico modello autorizzato dall’I.N.P.S.. In questa seconda ipotesi invece, a parere della società ricorrente, considerando che entrambe le fattispecie di reato abbiano tra i propri elementi costitutivi il superamento di una soglia di punibilità, la consumazione del reato presupposto si sarebbe perfezionata nel momento e nel mese in cui l’importo non versato avrebbe superato il limite della soglia di punibilità. Pertanto, l’illecito amministrativo doveva ritenersi estinto per intervenuta prosecuzione ai sensi dell’art. 22 dlgs 8 giugno 2001 n.231.
La questione è stata successivamente deferita alle Sezioni Unite, a cui è stato richiesto di pronunciarsi su due quesiti principali: in primis, in merito alla corretta qualificazione giuridica del fatto oggetto del reato presupposto, al fine di valutare se nell’ambito dell’art. 316 ter c.p., possa rientrare l’indebito conseguimento della riduzione dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, per effetto della mancata comunicazione da parte di quest’ultima dell’esistenza di una condizione ostativa prevista dalla legge (art. 8 legge 23 luglio 1991, n.223 e successive modifiche), con il conseguimento di un effettivo “risparmio di spesa”. In secundis, qualora si configurasse il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all’art. 316 ter c.p., circa l’individuazione della natura unitaria o meno del reato, nell’ipotesi di reiterate percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato. Alla luce di tali questioni, nell’interesse della società ricorrente, il difensore aveva inoltre proposto un motivo nuovo, “in aggiunta e specificazione” del quarto motivo di ricorso, a sostengo
della riconducibilità della fattispecie concreta all’ipotesi di reato di cui all’art. 10 quater dlgs cit., così come integrato dall’art. 17 dlgs 9 luglio 1997 n.241, anziché quella descritta dall’art. 316 ter c.p..

LA SOLUZIONE
La prima questione sottoposta al vaglio della Corte è stata da essa ritenuta pregiudiziale rispetto alla seconda, nella misura in cui, una sua definizione ne rappresenta il presupposto logico-applicativo. Dunque, in primo luogo, nel riconoscere applicabile al caso di specie la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p., la Corte ha ritenuto di dover confermare e ribadire il proprio precedente orientamento, relativo al concetto di erogazione ai fini dell’integrazione del reato in parola (cfr. SU Carchivi e Pizzuto). In tal senso, si è ritenuto che, pur in assenza di una materiale elargizione di denaro, la fattispecie sia comunque integrata, qualora il richiedente ottenga un vantaggio economico posto a carico della comunità. Pertanto, nell’accoglimento di un’accezione ampia del concetto di erogazione pubblica, quale oggetto materiale della condotta, essa ricomprende contributi, sovvenzioni, attribuzioni pecuniarie a fondo perduto e tutte quelle forme di finanziamento, che si caratterizzano per la fruizione di un vantaggio a spese dello Stato (c.d. condizione di vantaggiosità), ovvero per la previsione di una attenuata onerosità rispetto a quella derivante dall’applicazione delle regole ordinare di mercato. Infine, la norma valorizza tale assunto anche in virtù della clausola aperta che chiude la disposizione, secondo cui, nel concetto di erogazione pubblica confluiscono anche tutte le “altre erogazioni dello stesso tipo comunque denominate”, ricomprendendo nell’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice, ogni possibile forma di attribuzione comunque agevolata per il beneficiario di risorse pubbliche o eurounitarie, includendovi anche quelle indirettamente conseguite, che escludono un esborso iniziale di denaro. Dunque, con riferimento specifico al caso di specie, alla condotta posta in essere da parte della società datrice di lavoro, indipendentemente dalle modalità attive o omissive della condotta, è causalmente ricollegabile l’attribuzione del diritto alla fruizione del beneficio, nella forma di una agevolazione contributiva o una riduzione dell’onere economico del pagamento della contribuzione a carico della società, senza che assumano rilievo a tal fine, i modelli procedimentali (concessione o erogazione) alla base del suo materiale conseguimento e il quantum del vantaggio economico legato al risparmio della quota complessiva di parziale esenzione dall’onere economico oggetto di reiterato inadempimento dell’obbligazione contributiva. Sulla base di tali argomentazioni, la Corte ha pertanto escluso che l’applicazione dell’art. 316 ter c.p., al caso di specie potesse dare luogo ad una non consentita estensione analogica del contenuto percettivo della fattispecie (come invece supposto dalla sezione rimettente), riscontrano, al contrario, nel carattere onnicomprensivo dell’oggetto della condotta di indebito conseguimento, la sussumibilità delle condotte omissive poste in essere dall’imputato, orientate a perseguire il beneficio della riduzione dell’obbligo contributivo.
Quanto alla seconda questione rimessa alle Sezioni Unire, relativa alla qualificazione della natura del reato in caso di ripetute percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, dagli enti pubblici o dall’Unione Europea, la Suprema Corte si è pronunciata nel senso di escludere la configurabilità di una pluralità di reati eventualmente unificati dal vincolo della continuazione, a fronte della qualificazione in senso unitario delle condotte, la cui consumazione si sarebbe verificata con la percezione dell’ultimo contributo. Per addivenire a tale conclusione, la Corte ha mosso le proprie riflessioni a partire da consolidata giurisprudenza in merito al momento consumativo relativo a fattispecie coinvolgenti erogazioni pubbliche conferite in ratei periodici e in tempi diversi, affermando che, in questi casi, le condotte perdurino fino a quando non vengano interrotte le riscossioni, dunque, in corrispondenza della cessazione dei pagamenti. Alla luce di tale orientamento, l’art. 316 ter c.p., è stato ricondotto nella figura del reato unico a consumazione prolungata. In particolare, si è valorizzato il baricentro della fattispecie — ovvero un reato unico a consumazione frazionata e prolungata nel tempo — nel progressivo aggravamento della lesione recata al bene protetto, supportato dall’elemento soggettivo della consapevolezza dell’agente sussistente dal principio dell’azione criminosa. In tal modo, il reato è unico e a consumazione prolungata, ove plurime erogazioni pubbliche siano la conseguenza di un originario ed unico comportamento mendace o di una omissione informativa antidoverosa. Diversante, il reato assume “carattere plurale”, con la possibilità di unificazione dei diversi fatti sotto il vincolo della continuazione, quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività tipiche. In questo caso pertanto, secondo un diverso orientamento della Corte, andrebbero prese in considerazione tutte le percezioni indebite, rilevando il superamento del valore soglia in relazione al risultato economico derivante da ciascuna delle condotte decettive, produttive di una erogazione non dovuta. Tale soluzione è stata però ritenuta inapplicabile al caso concreto, dal momento in cui, la pluralità di erogazioni conseguenza della condotta, scaturiscono da un unico ed originario comportamento antidoveroso dell’agente, ove l’iniziale deliberazione si realizza attraverso una condotta omissiva unica, non ulteriormente frazionabile in una pluralità di atti deliberativi specificatamente riferibili ad ogni singola percezione delle agevolazioni contributive. Di conseguenza, nemmeno è applicabile l’istituto della continuazione, che essendo elemento formalmente estrinseco rispetto alla struttura del reato, dovrebbe presupporre una deliberazione autonoma per il conseguimento di ogni singola percezione del relativo beneficio economico, dal momento in cui la continuazione si caratterizza per l’ identità del disegno criminoso, fondato sulla pluralità di condotte autonome, ciascuna delle quali supportata da un proprio coefficiente materiale e psicologico.