Bancarotta riparata: non è sufficiente il reintegro parziale del patrimonio

Cass. pen., Sez. V, 20 giugno 2025, sentenza n. 23210
LA MASSIMA
“In tema di bancarotta “riparata”, questa si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato di bancarotta, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno. Non è necessaria la restituzione del singolo bene sottratto, ma un’attività di integrale reintegrazione del patrimonio anteriore alla declaratoria di fallimento. Il concetto stesso di “riparazione” ha per suo indefettibile presupposto l’avvenuto, pregresso ed illecito “depauperamento” del patrimonio, che deve essere ristorato integralmente. Sul piano soggettivo, è sufficiente il dolo generico consistente nella coscienza e volontà della deprivazione delle disponibilità patrimoniali al momento della fuoriuscita dei beni dell’impresa senza adeguata contropartita”.
IL CASO
La Corte di Appello confermava la sentenza resa dal giudice di prime cure con la quale l’imputato veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223, comma 1, l. fall., per avere, nella sua qualità di amministratore della società e di presidente del consiglio di amministrazione di altra società, distratto parte del patrimonio della prima in favore della seconda, mediante distinte operazioni finanziarie (versamenti a titolo di finanziamento e pagamento di fatture per consulenze inesistenti).
Avverso tale sentenza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, deducendo, in particolare, la mancata integrazione del delitto di bancarotta a causa del difetto tanto dell’elemento oggettivo quanto di quello soggettivo.
Con riferimento al primo, rappresentava che i finanziamenti furono invero restituiti dalla capogruppo alla controllata, con conseguente configurazione della figura della c.d. bancarotta riparata in luogo della bancarotta per distrazione, che invece implica la programmazione della mancata restituzione.
Quanto al profilo soggettivo, non vi era prova della consapevolezza, in capo all’imputato, al momento delle uscite di denaro, della futura mancata restituzione dei finanziamenti eseguiti in favore della capogruppo.
LA QUESTIONE
È richiesto alla Corte di Cassazione di definire i contorni della c.d. bancarotta riparata, con particolare riferimento, sul piano materiale, all’ipotesi in cui il ripristino del patrimonio non sia integrale nonché, sul piano soggettivo, alla tipologia di dolo richiesta.
LA SOLUZIONE
La Corte, richiamando i propri precedenti (su tutti, Cass., Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 14932), esclude che la mera restituzione di parte dei finanziamenti erogati, nel caso di specie, dalla società controllata in favore della capogruppo valga ad integrare la fattispecie di c.d. bancarotta riparata.
Invero, posto che, in ogni caso, quest’ultima non presenta ricadute decisive in ordine alla configurazione del delitto ascritto all’imputato, va evidenziato che essa ricorre quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della dichiarazione di fallimento, così di fatto annullando il pregiudizio per i creditori. Più precisamente, tale attività non deve tradursi necessariamente nella restituzione del singolo bene sottratto, essendo sufficiente che sia idonea a risanare il patrimonio nella stessa misura in cui questo sia stato leso dalla condotta dell’agente.
Presupposto, dunque, è il pregresso depauperamento del patrimonio dell’impresa, frutto della condotta distrattiva, che deve essere ristorato attraverso le operazioni di retrodatazione delle risorse precedentemente sottratte.
In questo senso, quindi, affinché possa parlarsi di bancarotta riparata è necessario che la reintegrazione sia integrale, diversamente non configurandosi il pregiudizio al bene giuridico tutelato.
Quanto al profilo soggettivo, invece, la Corte rammenta come la bancarotta fraudolenta prefallimentare sia una fattispecie di pericolo concreto, che si realizza con la dichiarazione di fallimento. Trattasi di reato a dolo generico, consistente nella coscienza e volontà della deprivazione delle disponibilità patrimoniali al momento della condotta, senza un’adeguata contropartita; non sono del pari necessari la cognizione dello stato d’insolvenza dell’impresa, né il fine specifico di recare pregiudizio ai creditori.
Di conseguenza, ai fini della sua integrazione, non occorre la prova dell’eventuale “programmazione” del depauperamento delle risorse né tantomeno vale ad escluderlo la condotta riparatoria, essendo sufficiente la mera consapevolezza dell’impoverimento immediato dell’impresa all’atto della distrazione.
In forza di tali argomentazioni, la Corte ha rigettato il ricorso proposto.
Nota a cura di Consuelo Nicoletti