Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Atti persecutori: la reciprocità dei comportamenti lesivi

Cass., Sez. V, 4 febbraio 2025, n. 4546

LA MASSIMA
“La reciprocità dei comportamenti lesivi non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita. In caso di reciprocità delle condotte è necessaria un’indagine approfondita volta ad accertare in quali termini tali condotte persecutorie vengano poste in essere e se siano o meno maturate in un ambito di litigiosità tra due soggetti che potrebbe portare ad escludere, ove si accerti una posizione di parità tra loro, la configurabilità del reato che presuppone la sussistenza di un disequilibrio della posizione della vittima rispetto a quella dell’autore dei comportamenti intimidatori o vessatori.”

IL CASO
L’imputato propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dalla Corte d’appello che, in parziale riforma della pronuncia emessa dal giudice di prime cure, conferma la condanna per il reato di atti persecutori, riducendo il risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili.
Per quanto di interesse, tra gli altri motivi di doglianza, la difesa contesta l’omessa motivazione circa la sussistenza di reciproche condotte moleste tra l’imputato e la presunta persona offesa. I rapporti tra le parti, infatti, erano profondamente conflittuali, come dimostrato dalla totale assenza di subordinazione psicologica della vittima nonché dalle dichiarazioni rese da quest’ultima.
Invero, benché il delitto di atti persecutori non sia escluso dalla reciprocità dei comportamenti molesti, la presenza di tale circostanza impone un maggior onere motivazionale in ordine alla sussistenza dello stato di ansia o di paura della persona offesa e del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita.

LA QUESTIONE
La quaestio iuris su cui la Corte di legittimità è chiamata a pronunciarsi attiene alla verifica della sussistenza di uno degli eventi descritti dalla norma incriminatrice nonché al maggiore sforzo motivazionale richiesto, nel caso in cui ricorrano reciproche condotte illecite tra l’imputato e la persona offesa.
In tali ipotesi, infatti, ricorre una posizione di parità tra le parti, antitetica rispetto alla posizione dominante che dovrebbe assumere il reo ai fini della sussistenza della fattispecie di reato contestata.
E infatti, secondo il maggioritario e costante indirizzo ermeneutico accolto nella giurisprudenza di legittimità, la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita (ex multis, cass. pen., sez. V, 24/06/2021, n. 42643).

LA SOLUZIONE
In adesione al sopra ricordato principio di diritto, la Corte ritiene che nel caso in cui sia dedotta la reciprocità delle condotte lesive, questa non sia di per sé idonea e sufficiente ad escludere la configurabilità del delitto di atti persecutori. In ipotesi siffatte sorge la necessità di indagare in che termini tali condotte siano realizzate e se siano o meno maturate in un contesto di reciproca litigiosità tra imputato e persona offesa. Solo nel caso in cui si accerti una posizione di parità tra loro, senza che ricorra un reale disequilibrio della posizione della vittima rispetto a quella dell’autore dell’illecito, può escludersi la configurabilità del reato in contestazione.
Tutto ciò si traduce in un maggiore sforzo motivazionale del giudice, il quale deve scrupolosamente valutare se sussistano i dedotti reciproci comportamenti molesti, al fine di escludere la sussistenza dell’illecito.
Al contrario, nel caso in cui l’iter logico argomentativo si concluda nel senso di ritenere sussistente una situazione di disequilibrio tra l’autore e la vittima dell’illecito, occorre verificare la sussistenza di uno degli eventi descritti dalla norma. Nella motivazione occorre dare atto della sussistenza di una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificare le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura.
Nel caso in esame la Corte rilevato il difetto di motivazione in ordine alla reciprocità delle condotte, accoglie il ricorso e annulla la sentenza impugnata.