Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Associazione per delinquere e autoriciclaggio: prova e limiti in Cassazione

Cass. pen., Sez. II, 23 settembre 2025, sentenza n. 31769

LE MASSIME

“In tema di associazione per delinquere (art. 416 c.p.), la partecipazione al sodalizio può essere desunta dalla ripetuta commissione, insieme ai compartecipi, dei reati-fine e dalle relative modalità esecutive, le quali esprimono l’operatività dell’associazione e integrano indizi gravi, precisi e concordanti del vincolo.

In tema di autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), non è richiesto un impedimento “assoluto” all’identificazione della provenienza delittuosa: è sufficiente una condotta che, valutata ex ante, sia concretamente idonea anche solo ad ostacolarne l’accertamento”.

 

IL CASO

Due imputati proponevano ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che aveva confermato la loro responsabilità per i reati di associazione per delinquere e autoriciclaggio.

Secondo le decisioni di merito, gli imputati, insieme ad altri soggetti, avevano posto in essere un articolato sistema di truffe ai danni di imprenditori, indotti a versare somme di denaro per l’ottenimento di finanziamenti da un istituto bancario inesistente; i profitti così conseguiti venivano successivamente movimentati e reimmessi nel circuito economico lecito mediante operazioni dirette a dissimularne la provenienza.

Nei ricorsi si deducevano, tra l’altro: l’assenza di prova del vincolo associativo e il ruolo meramente ausiliario dei ricorrenti; l’erronea valutazione delle dichiarazioni del coimputato, ritenuto credibile nella confessione ma non attendibile nella parte scagionante; l’insussistenza dell’autoriciclaggio per mancanza di attività concretamente dissimulatorie e per la pretesa sovrapposizione con un post factum non punibile delle truffe; la nullità per omessa verbalizzazione delle conclusioni del difensore; l’ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche e la mancata riassunzione di un teste della difesa.

LA QUESTIONE

La decisione affronta diversi profili di diritto sostanziale e processuale: se la partecipazione al reato associativo possa essere desunta dalle condotte esecutive dei reati-fine, valorizzandone la continuità e la stabilità; se, ai fini dell’autoriciclaggio, sia sufficiente un’attività idonea ad ostacolare l’identificazione dell’origine delittuosa secondo un giudizio di idoneità ex ante, senza necessità di un occultamento assoluto; se la mancata menzione nel verbale delle conclusioni del difensore integri una nullità assoluta pur in presenza dell’effettiva assistenza difensiva; e, infine, se ricorrano i presupposti per la rinnovazione istruttoria in appello e per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

 

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi, in quanto formulati in parte in modo generico, in parte fondati su questioni di merito non devolute con l’atto di appello, e comunque manifestamente infondati.

Con riferimento al reato di associazione per delinquere, la Corte ha ritenuto corretta la motivazione della sentenza di merito, secondo cui la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso poteva desumersi dalla serialità e dalle modalità esecutive dei reati-fine. Le rassicurazioni mendaci fornite alle vittime, la cura di contratti simulati e persino l’assunzione di qualifiche fittizie dimostravano un contributo organico, stabile e consapevole, incompatibile con un mero concorso occasionale. È stato richiamato il principio secondo cui la prova del vincolo associativo può trarsi dalla ripetuta commissione, in concorso con i compartecipi, dei reati previsti dal programma criminoso e dalle relative modalità di esecuzione, in quanto manifestazione concreta dell’operatività dell’associazione.

Quanto al reato di autoriciclaggio, la Corte ha ribadito che non è necessario un impedimento assoluto all’identificazione della provenienza delittuosa dei beni, essendo sufficiente una condotta concretamente idonea anche solo ad ostacolare gli accertamenti, valutata secondo un criterio di idoneità ex ante. Il successivo disvelamento investigativo non incide, infatti, sulla tipicità della condotta. Le operazioni di trasferimento e impiego dei proventi verso società estere e l’utilizzo di conti riconducibili ai compartecipi hanno correttamente integrato l’elemento oggettivo del reato, trattandosi non di mero post factum non punibile, ma di reimmissione nel circuito economico con finalità dissimulatoria.

Sul piano processuale, la Corte ha escluso la dedotta nullità per omessa verbalizzazione delle conclusioni del difensore, richiamando l’orientamento costante secondo cui la mancata menzione nel verbale non determina nullità assoluta, purché risulti certa la presenza del difensore e l’effettiva assistenza all’imputato. Parimenti infondati sono stati ritenuti i motivi relativi alla revoca del teste di difesa e al diniego di rinnovazione dell’istruzione in appello, poiché le doglianze non prospettavano la decisività della prova non assunta. È stato altresì ritenuto legittimo il diniego delle circostanze attenuanti generiche, in assenza di elementi positivi dedotti con sufficiente specificità.

La decisione ribadisce, in definitiva, due principi centrali: da un lato, la valorizzazione dei reati-fine come indici gravi, precisi e concordanti della partecipazione associativa; dall’altro, la definizione della condotta di autoriciclaggio come attività di ostacolo, non necessariamente impeditiva, ancorata a una valutazione prognostica di idoneità. Essa rafforza la tutela dell’ordine economico e della trasparenza dei flussi finanziari, richiamando, al contempo, l’esigenza di specificità e concretezza dei motivi di ricorso in sede di legittimità.

Nota a cura di Vittoria Petrolo (criminologa e avvocato praticante)