Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Articolo 615-ter c.p. e mutamento giurisprudenziale in malam partem

Cass. pen., Sez. V, 11 giugno 2025, sentenza n. 22017

LA MASSIMA

“Sul tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale in malam partem è consolidato l’orientamento secondo cui l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale più sfavorevole di una norma penale non è consentita, salvo che il risultato interpretativo non fosse ragionevolmente prevedibile al momento della commissione del fatto,  pena la violazione degli artt. 2 c.p., 25 Cost e 7 CEDU. In ogni caso, la non prevedibilità di una decisione giudiziale va esclusa qualora si registri un contrasto giurisprudenziale, in cui l’esito interpretativo, seppur controverso, è comunque presente”.

IL CASO

L’imputato è stato ritenuto responsabile, in secondo grado, del delitto di cui all’art. 615-ter c.p. perché quale pubblico ufficiale in servizio presso la sezione di Polizia giudiziaria di una Procura, si introduceva abusivamente nel sistema informatico per monitorare un procedimento iscritto a carico di ignoti che riguardava un dirigente dell’ufficio.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato lamentando la violazione del combinato disposto degli artt. 5 e 615-ter c.p. La difesa ha sostenuto che la pronuncia della Corte territoriale si fonda su un sopravvenuto orientamento giurisprudenziale in malam partem formatosi in epoca successiva ai fatti oggetto di imputazione, e pertanto non prevedibile dall’imputato al momento della condotta.

LA QUESTIONE

La questione giuridica affrontata dalla Corte riguarda la prevedibilità del mutamento giurisprudenziale sfavorevole all’imputato, in relazione al reato di accesso abusivo a sistema informatico.

Sulla qualificazione giuridica della condotta rilevante ai fini dell’art. 615-ter c.p., si è registrata un’evoluzione interpretativa.

Le Sezioni Unite Casani (2011) hanno affermato che integra il delitto in esame chi, pur essendo abilitato, accede o si mantiene in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni e i limiti risultanti dalle prescrizioni impartite dal titolare del sistema per delimitarne oggettivamente l’accesso, restando irrilevanti gli scopi soggettivi dell’ingresso.

Successivamente, con la sentenza Savarese (2017), le Sezioni Unite hanno stabilito che integra il delitto di cui all’art. 615-ter, comma 2, n. 1 c.p., anche la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, pur essendo formalmente abilitato e rispettando le prescrizioni esterne di accesso, utilizza il sistema informatico per fini ontologicamente estranei rispetto a quelli per cui è abilitato.

LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate le censure difensive.

Sul tema della prevedibilità del mutamento giurisprudenziale in malam partem, la Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui l’applicazione retroattiva di un’interpretazione giurisprudenziale sfavorevole non è ammessa, salvo che tale interpretazione fosse ragionevolmente prevedibile al momento del fatto, in ossequio agli artt. 2 c.p., 25 Cost. e 7 CEDU.

Il giudice nazionale può mutare orientamento interpretativo, ma tale mutamento deve essere prevedibile per il destinatario della norma, al fine di non violare gli artt. 6 e 7 CEDU e il principio di legalità. Il criterio discriminante è, dunque, la ragionevole prevedibilità dell’interpretazione, la quale consente la punibilità anche in presenza di un orientamento giurisprudenziale sopravvenuto. In ogni caso, la non prevedibilità deve escludersi in presenza di un contrasto giurisprudenziale, poiché l’esito interpretativo, sebbene controverso, è già presente nel panorama giurisprudenziale.

Secondo la Corte, ciò che rileva è che l’imputato, al momento della condotta, potesse ragionevolmente prefigurarsi l’astratta possibilità di integrazione della fattispecie penale contestata.

Nel caso in esame, è risultato decisivo verificare se l’evoluzione giurisprudenziale in tema di accesso abusivo fosse già prevedibile all’epoca dei fatti.

I giudici hanno precisato che la sentenza Savarese del 2017 non ha sovvertito l’orientamento precedentemente consolidato, bensì ha approfondito e completato quanto già affermato dalla pronuncia Casani, estendendo la tipicità della fattispecie anche al caso di abuso delle funzioni da parte del pubblico ufficiale.

Con la sentenza Casani, infatti, le Sezioni Unite avevano già chiarito che l’accesso al sistema informatico può essere penalmente rilevante anche se compiuto da un soggetto formalmente autorizzato, qualora le operazioni poste in essere siano ontologicamente estranee rispetto ai compiti attribuitigli e, pertanto, non coperte dall’autorizzazione ricevuta.

Pertanto, la Corte ha escluso che la sentenza Savarese possa configurarsi come overruling, in quanto non si è posta in contrasto con un orientamento giurisprudenziale pacifico e consolidato, bensì ne ha rappresentato un naturale sviluppo nell’ambito della funzione nomofilattica. Di conseguenza, l’interpretazione offerta non può considerarsi imprevedibile al momento della condotta contestata, risultando anzi già presente nel dibattito giurisprudenziale del periodo.

La Corte ha quindi concluso per l’infondatezza del motivo di ricorso, ritenendo che l’imputato potesse ragionevolmente prevedere l’interpretazione estensiva dell’art. 615-ter c.p. al momento della commissione del fatto.

Nota a cura di Alessandra Fantauzzi