Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Appropriazione indebita e mandato a vendere: il dies a quo della prescrizione

Cass. pen., Sez. II, 2 gennaio 2025, sentenza n. 117

LA MASSIMA
“Il termine di prescrizione del delitto di appropriazione indebita, nel caso di mandato a vendere, comincia a decorrere dal momento in cui il mandatario rifiuta, senza alcuna giustificazione, di dar seguito alla richiesta del mandante di trasferimento del denaro ricevuto dal compratore, poiché è in questo momento che egli manifesta la volontà di detenere “uti dominus” il bene sul quale non ha più alcun diritto”

IL CASO
La Corte di appello confermava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato di appropriazione indebita aggravata perché, in qualità di soggetto incaricato dalla persona offesa -in ragione di rapporto di lavoro- alla vendita al dettaglio e all’ingrosso di mezzi tecnici e prodotti per l’agricoltura, nonché al rilascio di bolle di consegna e alla ricezione degli incassi delle vendite, si appropriava delle somme relative ai pagamenti di fatture ricevute da clienti.
Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato, osservando che la Corte di appello aveva omesso di motivare su aspetti fondamentali della vicenda, concernenti il tipo di rapporto di lavoro tra il ricorrente e la persona offesa, posto che il primo era dipendente di altra società. Inoltre, la Corte non aveva dato credito alle dichiarazioni del reo in base alle quali egli svolgeva attività di agente di rappresentanza per la ditta – persona offesa, per la quale provvedeva alla vendita dei prodotti e veniva retribuito con provvigioni, per il cui pagamento veniva trattenuta una parte del prezzo versato dagli acquirenti. Infine, difensore eccepisce che la sentenza impugnata era comunque illegittima nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto, a fronte delle molteplici trattenute da parte dell’imputato del denaro versato dai clienti per il pagamento del prezzo di vendita dei prodotti che di volta in volta venivano effettuate, che si fosse trattato di un unico reato appropriativo, realizzato nel momento in cui lo stesso si era rifiutato di restituire le somme, con conseguente violazione degli artt. 81 e 157 cod. pen.

LA QUESTIONE
La sentenza in commento affronta la questione dell’individuazione del termine di prescrizione del reato di appropriazione indebita.

LA SOLUZIONE
Nella pronuncia in esame, la Corte di cassazione segnala che il termine di prescrizione del delitto di appropriazione indebita, nel caso di mandato a vendere, comincia a decorrere dal momento in cui il mandatario rifiuta, senza alcuna giustificazione, di dar seguito alla richiesta del mandante di trasferimento del denaro ricevuto dal compratore, poiché è in questo momento che si realizza la condotta di interversione del possesso.
A tal riguardo, si deve premettere sul piano generale che il reato è integrato da un comportamento umano collocato nello spazio e nel tempo. Con riferimento alla dimensione temporale, l’individuazione del momento del perfezionamento del reato è funzionale a stabilire il termine da cui decorra la prescrizione. In particolare, l’art. 158 del Codice penale dispone che essa inizi dal giorno della consumazione del fatto criminoso. Sul punto, una fattispecie delittuosa può ritenersi consumata quando sussistono tutti i suoi elementi costitutivi. Tuttavia, nonostante tali considerazioni, il 158 c.p. non specifica in base a quale elemento costitutivo il reato possa ritenersi consumato, stante, difatti, la distinzione, ricavabile dal testo del Codice, tra reati di mera condotta e d’evento. Pertanto, si tratta di stabilire se la consumazione avvenga al momento della condotta o dell’evento.
Nel merito, l’orientamento prevalente e preferibile reputa che il momento della consumazione debba coincidere con quello in cui il reo pone in essere il comportamento delittuoso. Difatti, tale soluzione si giustifica alla luce del fatto che, secondo i principi di prevedibilità e di personalità della responsabilità penale, solo la condotta può ritenersi voluta dal reo, a differenza dell’evoluzione causale delle sue azioni, spesso non controllabile. Di conseguenza, con riguardo al reato di appropriazione indebita, la consumazione coincide correttamente con la tenuta della condotta appropriativa.
Tuttavia, quest’ultima non è sempre individuabile sul piano fisico, poiché l’agente, avendo già l’esclusivo potere di fatto sulla cosa, non deve compiere atti suscettibili di modificare la realtà. Difatti, ciò che cambia è l’animus del possessore, trasformatosi in quello del padrone. Per tale ragione, sono individuati dei comportamenti costituenti la manifestazione esterna di tale animus, tra i quali rientra la ritenzione. Nello specifico, ai fini della consumazione, essa consiste in un contegno che espliciti il rifiuto del reo di restituire la cosa mobile altrui.
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, il reo, delegato dalla persona offesa alla vendita della merce e al relativo incasso del prezzo pagato, si era rifiutato, senza alcuna giustificazione, di dar seguito alla richiesta del mandante di trasferire il denaro ricevuto dagli acquirenti. Pertanto, con la mancata restituzione si realizza l’interversione del possesso che caratterizza l’appropriazione indebita e da tale momento decorre il termine di prescrizione del reato.