Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Accettazione della remissione di querela: anche se formalmente mancante si presume, salvo prova della volontà contraria del querelato.

Cass. pen., Sez. VI, 8 settembre 2025, sentenza n. 30377

LA MASSIMA

“La produzione in giudizio, da parte del querelato, della remissione della querela, finalizzata alla dichiarazione di estinzione del reato a lui ascritto, equivale, pur in assenza di formale accettazione, alla mancanza di ricusa, idonea a consentire siffatta declaratoria, posto che l’accettazione della remissione della querela si presume, a condizione che non sussistano elementi indicativi della volontà contraria del querelato, edotto della volontà del querelante e in grado di accettare o rifiutare”.

IL CASO

La vicenda de quo prende le mosse da una sentenza della Corte d’Appello che, confermando il decisum del giudice di prime cure, condanna il ricorrente per il reato di cui all’art. 570 c.p.

Avverso il predetto provvedimento, la difesa propone ricorso per violazione di legge e vizi di motivazione. In particolare, il ricorrente contesta di essere stato condannato alla rifusione delle spese in favore della parte civile, senza che sia stata ordinata l’esecuzione delle stesse in favore dello Stato, trattandosi di soggetto ammesso al gratuito patrocinio. Inoltre, eccepisce la mancata esclusione della punibilità ex art. 131-bis c.p. e l’omessa concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, sulla base delle risultanze del casellario giudiziale.

Il ricorrente, inoltre, deposita una memoria nella quale chiede che venga dichiarata l’estinzione del reato per intervenuta remissione della querela, producendo l’atto di transazione, intervenuto tra le parti, e il verbale di remissione della querela debitamente sottoscritto dal remittente.

LA QUESTIONE

La questione sottoposta al vaglio della Corte Suprema ha per oggetto la validità, ai fini della declaratoria di estinzione del reato, della remissione della querela che non sia, tuttavia, accompagnata anche dalla formale accettazione da parte del querelato. Più precisamente, ci si chiede se la produzione in giudizio della remissione della querela possa equivalere a mancata ricusa della stessa, idonea alla declaratoria di estinzione dei reati ascritti al querelato.

LA SOLUZIONE

Già precedentemente, la Corte di Cassazione (Cass., Sez. Un., 25 maggio 2011, sent. n. 27610) ha precisato che la remissione della querela è un atto giuridico unilaterale che non abbisogna di adesioni o di accettazioni da parte del querelato, perfezionandosi con la semplice manifestazione della stessa. Peraltro, in tale occasione, si è ritenuto che la mancata comparizione in udienza del querelato, consapevole dell’intervenuta remissione della querela, sia idonea, ai sensi dell’art. 155, comma 1, c.p., alla declaratoria di estinzione dei reati allo stesso imputati.

Nonostante la rubrica dell’art. 155 c.p., infatti, sia intitolata “Accettazione della remissione”, ciò che si richiede normativamente è che il querelato non abbia ricusato la remissione, tacitamente o espressamente, attraverso il compimento di “fatti incompatibili con la volontà di accettare la remissione”. Il comportamento concludente preso in considerazione dall’art. 155, comma 1, c.p., invero, non è quello attraverso cui si renda percepibile un’adesione del querelato alla remissione della querela, ma attiene a una tacita manifestazione della volontà diretta a impedirla: non un comportamento positivo di accettazione, ma uno negativo di rifiuto.

L’accettazione della remissione, quindi, si presume purché non vi siano fatti indicativi di una volontà contraria del querelato, pienamente edotto della volontà del querelante e in grado di accettare ovvero di rifiutare.

Nel caso di specie, inoltre, gli effetti estintivi riguardano solo le condotte tenute dal ricorrente nei confronti del coniuge, ma non anche quelle attinenti all’inadempimento degli obblighi di mantenimento nei confronti dei figli minori, trattandosi, in quest’ultimo caso, di reato procedibile d’ufficio e per il quale, non essendo intervenute censure riguardo alla predetta responsabilità, è ormai divenuto irrevocabile il relativo accertamento.

Quindi, la Corte conclude con il parziale accoglimento dell’eccezione, statuendo per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata quanto alle condotte tenute dal ricorrente nei confronti del querelante, con conseguente revoca delle relative statuizioni civili.

Quanto ai motivi del ricorso, il primo motivo è dichiarato inammissibile, trattandosi di questione manifestamente infondata. L’eccezione del ricorrente risulta, infatti, smentita dal decreto di liquidazione dei compensi in favore del difensore della parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato. In ogni caso, si ritiene che lo stesso non abbia alcun interesse al riguardo.

Il secondo motivo è dichiarato inammissibile in quanto vago e generico. La Corte d’Appello ha, infatti, motivatamente escluso la particolare tenuità del fatto in ragione della protrazione della condotta nel tempo e delle sue conseguenze sulla vita familiare.

Il terzo motivo è dichiarato ugualmente inammissibile in quanto infondato. La Corte territoriale ha escluso, infatti, la concessione del beneficio di sospensione condizionale della pena a seguito di una prognosi sfavorevole circa la futura astensione dal compimento di altri reati da parte del ricorrente.

Per questi motivi, la Corte Suprema dichiara l’inammissibilità del ricorso e rinvia alla Corte territoriale per la rideterminazione della pena e delle statuizioni civili in riferimento alle sole condotte tenute dal ricorrente nei confronti dei figli.

Nota a cura di Giusy Alessandra Annunziata