Accesso abusivo ad un sistema informatico tra coniugi

Cass. pen., Sez. V, 23 maggio 2025, sentenza n. 19421
LA MASSIMA
“Integra il delitto di accesso abusivo a un sistema informatico ex art. 615-ter c.p. la condotta di chi, anche all’interno di un rapporto coniugale in fase di separazione, accede senza autorizzazione a un telefono cellulare in uso esclusivo all’altro coniuge e protetto da password, estrapolando dati personali (come messaggi WhatsApp o il registro chiamate). Non configura, invece, il reato di violenza privata ex art. 610 c.p. la condotta del genitore che, in un contesto di tensione familiare, trattenga temporaneamente i figli presso di sé senza esercitare minacce o coartazioni idonee a limitare concretamente la libertà di azione dell’altro genitore.”
IL CASO
La Corte di Cassazione è intervenuta su una vicenda insorta nell’ambito di un conflitto coniugale. Dalla sentenza di primo grado risultava che l’imputato, impossessandosi di un telefono cellulare in uso alla ex moglie, nonostante la protezione dei dati a mezzo password, aveva estratto alcuni messaggi che la stessa aveva scambiato con altra persona, consegnandoli al proprio legale affinché ne facesse uso nel giudizio civile di separazione, nell’ottica di una eventuale pronunzia di addebito.
In un momento successivo – dopo aver fatto sostituire la serratura della propria abitazione e previa comunicazione alla controparte – prelevava i figli da scuola senza avvisare la madre, impedendole di avvicinarsi presso l’abitazione familiare. La situazione richiedeva l’intervento delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco, pur in assenza di minacce o violenze fisiche.
L’imputato, condannato per il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico (art. 615-ter cod. pen.) e violenza privata (art. 610 cod. pen.), proponeva ricorso alla Suprema Corte, sostenendo – oltre la tardività della querela – anche la mancanza di prove in grado di attestare le protezioni al cellulare (consistenti in password) e l’inconfigurabilità del reato di violenza privata per assenza di coartazione.
LA QUESTIONE
La sentenza in commento pone l’attenzione sulla configurabilità del reato di accesso abusivo a sistema informatico o telematico nell’ambito di rapporti familiari, ed in particolare quando l’agente acquisisca dati da un dispositivo in uso esclusivo all’altro coniuge, protetto da credenziali d’accesso.
La questione centrale è se tale condotta integri un accesso abusivo a sistema informatico, tenuto conto del rapporto familiare tra le parti, della eventuale legittimazione all’uso del dispositivo, e della protezione dei dati tramite credenziali. Sul punto, la giurisprudenza si è
interrogata se la presenza di una password e l’esclusiva disponibilità del dispositivo siano elementi sufficienti a ritenere abusivo l’accesso da parte del coniuge, anche in assenza di effrazione fisica o informatica.
Secondo un orientamento consolidato, il reato sussiste anche se l’agente ha avuto in passato accesso al dispositivo, qualora violi la volontà (anche tacita) del titolare di escluderlo ovvero eserciti un accesso, eccedendo i limiti stabiliti dal titolare, realizzando un’invasione arbitraria della sfera privata altrui.
Altro profilo problematico attiene alla decorrenza del termine per proporre querela nei reati perseguibili a istanza di parte: la giurisprudenza ritiene che esso decorra dal momento in cui la persona offesa acquisisce conoscenza certa e completa del fatto-reato, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo.
LA SOLUZIONE
La Suprema Corte ha confermato la sussistenza del reato di accesso abusivo a sistema informatico, qualificando il comportamento come intrusione arbitraria in uno spazio digitale riservato, tutelato ex art. 615-ter c.p., sottolineando che l’eventuale assenza di screenshot o l’asserita buona fede dell’imputato non incidono sulla configurabilità della fattispecie, essendo irrilevanti le finalità soggettive.
Diversamente, è stato escluso il reato di violenza privata, in quanto la condotta contestata (ostacolo all’incontro tra la madre e i figli in occasione della sostituzione della serratura dell’abitazione) non ha integrato una coartazione effettiva della libertà di autodeterminazione della persona offesa, mancando requisiti concreti di minaccia o intimidazione.
La sentenza è stata annullata senza rinvio limitatamente al reato ex art. 610 c.p., con rinvio per la rideterminazione della pena alla Corte di Appello, confermando la condanna per il reato informatico.
Segnalazione a cura di Giuliana Raco