Abolizione del delitto di abuso d’ufficio e continuità con il delitto c.d. di peculato per distrazione ex art. 314-bis c.p.

Cass. pen., Sez. I, 10 gennaio 2025, sentenza n. 5041
LA MASSIMA
“I casi di indebita distrazione di beni che risultano soddisfare, comunque, interessi pubblici coesistenti con il perseguimento di interessi privati, ovvero che non ne comportano la perdita per la pubblica amministrazione, già punite con forme di abusi di ufficio, restano punibili ai sensi del nuovo art. 314-bis cod. pen., fermo restando che quest’ultima previsione realizza una parziale abolitio criminis, rendendo non più punibili, tra l’altro, le condotte distrattive che non comportino violazione di specifiche disposizioni di legge, da cui non residuino margini di discrezionalità.”
IL CASO
L’imputato – condannato per il reato di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis, comma terzo, cod. pen.– chiedeva la revoca della condanna, sostenendo che la condotta non potesse più essere considerata illecita a seguito degli interventi riformatori in materia. Essendo stata già respinta l’istanza dalla Corte d’Appello, si procedeva con ricorso in Cassazione.
LA QUESTIONE
L’attenzione dei giudici di legittimità si è concentrata, anzitutto, sull’attuale quadro normativo post riforma. L’abrogazione dell’abuso d’ufficio ha condotto, infatti, ad un’innovazione nel tessuto codicistico: attraverso il nuovo art. 314 bis c.p., denominato “indebita destinazione di denaro o beni”, si mira a punire chi utilizza fondi pubblici con fini diversi da quelli previsti da specifiche disposizioni di legge (prive di discrezionalità) e con un ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri. Dunque, ove accertato, ciò sarebbe in grado di assorbire parte delle condotte che in precedenza rientravano nel reato di abuso d’ufficio, garantendo – in tal senso – una continuità normativa.
LA SOLUZIONE
La Cassazione ha precisato come l’abolizione dell’art. 323 c.p. non possa comportare automaticamente la revoca, ex art. 673 c.p., della sentenza di condanna se la condotta in questione risulti penalmente rilevante ai sensi del nuovo art. 314 bis c.p. A rafforzare ulteriormente suddetta posizione, si è evidenziato come le stesse condotte confluissero non solo nel reato di abuso d’ufficio ma anche nel traffico di influenze illecite, punibile – quindi – a prescindere dall’esistenza di un atto contrario ai doveri d’ufficio. Pertanto, la Corte ha ritenuto sussistente una continuità normativa tale da escludere un’abolitio criminis e confermare la condanna.