L’elemento soggettivo nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale

Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2025, sentenza n. 32537
LA MASSIMA
“Il reato di bancarotta fraudolenta documentale può manifestarsi nelle sue due alternative forme descritte al n. 2 dell’art.216 I. fall.: l’occultamento, la sottrazione o la distruzione delle scritture contabili (bancarotta documentale specifica) e la fraudolenta tenuta di tali scritture (bancarotta documentale generale). Con particolare riferimento all’ipotesi di bancarotta documentale specifica, essa si caratterizza, sotto il profilo soggettivo, per la necessità che la condotta di fisica sottrazione delle scritture sia assistita dal dolo specifico, inteso quale scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali”.
IL CASO
La Corte d’Appello territorialmente competente confermava la sentenza con cui i giudici di primo grado avevano riconosciuto l’imputato colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, nella sua qualità di rappresentante legale di una società poi dichiarata fallita, occultato e distrutto la documentazione contabile, rendendo impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita.
L’imputato presentava ricorso in Cassazione e deduceva anzitutto l’incompetenza territoriale del Tribunale di primo grado ritenendo competente un altro Tribunale costituito sei mesi prima della dichiarazione di fallimento della società. Con il secondo motivo di ricorso, contestava il difetto di motivazione in ordine al profilo soggettivo del reato contestato, la cui sussistenza sarebbe stata desunta unicamente dal mancato rinvenimento delle scritture contabili, evidenziando, invece, il comportamento collaborativo dell’imputato nonostante non sussistesse, nel caso di specie, un obbligo di custodia della documentazione in capo all’amministratore, il quale, all’epoca dei fatti, non era più in carica. Infine, si eccepiva la sussistenza dei presupposti applicativi per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
LA QUESTIONE
La Corte è stata chiamata a pronunciarsi in ordine all’ubi consistam dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta documentale specifica e a chiarire, in particolare, se, al fine di ritenere integrata la fattispecie, sia sufficiente accertare il dolo generico, consistente nella volontà di sottrarre, occultare o distruggere la documentazione contabile, o se, al contrario, sia necessario accertare altresì che la condotta di sottrazione sia assistita dal dolo specifico, inteso quale scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali.
LA SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso complessivamente infondato.
Relativamente al primo motivo di ricorso occorre premettere che i reati fallimentari, quando commessi anteriormente alla dichiarazione di fallimento, si consumano nel luogo e nel tempo in cui è stata pronunciata la relativa sentenza; pertanto, la competenza territoriale non può che riconoscersi in capo al Tribunale che ha pronunciato la sentenza dichiarativa di fallimento. Giova inoltre evidenziare che la pronuncia, una volta acquisito il carattere della irrevocabilità, costituisce un dato definitivo e vincolante, insuscettibile di essere sindacato dal giudice penale non solo relativamente al presupposto oggettivo dello stato d’insolvenza e a quelli soggettivi di fallibilità dell’imprenditore, ma anche ai profili relativi all’esercizio della legittima impugnazione, fra cui anche quello riguardante la competenza.
Quanto alla titolarità degli obblighi di formazione, conservazione e tenuta delle scritture contabili e all’esistenza di un compiuto impianto motivazionale a sostegno del ritenuto dolo specifico, la Corte ha chiarito, in via preliminare, che il reato di bancarotta fraudolenta documentale può manifestarsi nelle due alternative forme descritte al n. 2 dell’art. 216 R.D. n. 267/1942 (c.d. Legge fallimentare): l’occultamento, la sottrazione o la distruzione delle scritture contabili (bancarotta documentale specifica) e la fraudolenta tenuta di tali scritture (bancarotta documentale generale).
Nel caso di specie, sul presupposto della radicale assenza di documentazione, sarebbe stata integrata l’ipotesi della bancarotta documentale specifica.
La Corte ha precisato che tale fattispecie è caratterizzata, sotto il profilo soggettivo, dalla necessità che la condotta di fisica sottrazione delle scritture contabili sia assistita dal dolo specifico, inteso quale scopo di recare danno ai creditori, impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali. Infatti, è proprio l’intenzionale direzionalità della condotta il discrimen tra le figure delittuose di bancarotta documentale di cui all’art. 216, comma I, n. 2, L. Fall., e le ipotesi, che ne sono prive, di bancarotta semplice, previste dal successivo art. 217, il cui secondo comma incrimina, parimenti, l’omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, sia essa volontaria o dovuta a mera negligenza.
A tale riguardo, la Cassazione ha affermato che tra i doveri che fanno capo all’amministratore di una società, rientra anche il diretto e personale obbligo di tenere e conservare le scritture contabili; scritture che, al termine del mandato, l’amministratore uscente ha il dovere di consegnare al nuovo amministratore, in applicazione dei principi generali che regolano il rapporto organico, ex art. 1713, comma I, c.c. in tema di mandato.
Per cui, accertato il mancato rinvenimento delle scritture contabili relative al periodo in cui il ricorrente svolgeva le funzioni di amministratore, stante il principio di responsabilità dell’amministratore cessato per l’effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, la Corte ha ritenuto il ricorrente responsabile dell’occultamento delle scritture, fatta salva in ogni caso la prova, a carico dello stesso, che il mancato rinvenimento della documentazione fosse stato conseguenza di fatti a lui non imputabili.
Il terzo motivo di ricorso è, invece, indeducibile. Le circostanze attenuanti generiche non sono oggetto di un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma necessitano, in positivo, della sussistenza di elementi idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, rendendolo coerente alla concreta gravità del fatto.
Nel caso di specie, la Corte territoriale ha ritenuto di non riconoscere le circostanze attenuanti generiche in ragione del comportamento tenuto dall’imputato in sede di interrogatorio; in particolare egli aveva fornito informazioni lacunose e imprecise, non aveva adempiuto all’impegno di recuperare la documentazione del commercialista e si era reso irreperibile.
Per tali ragioni, la Corte ha riconosciuto la responsabilità del ricorrente, rigettando il ricorso e condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Nota a cura di Valentina Russo (avvocata)