L’attuale rilevanza della distrazione nel peculato: la differenza tra appropriazione distrattiva e abuso distrattivo

Cass. pen., Sez. VI, 15 settembre 2025, sentenza n. 30781
LA MASSIMA
“Ritiene questo Collegio che l’orientamento di legittimità ripercorso, a partire da quello autorevolmente espresso da SS.UU. Vattani, designa la attuale punibilità a titolo di peculato della distrazione appropriativa, endiade che richiede la destinazione privatistica, incompatibile con quella pubblica, delle somme distratte dal fine al quale erano statutariamente vincolate, non essendo sufficiente a realizzare l’appropriazione sanzionata dall’art. 314 c.p. la sola diversione dalla finalità istituzionale o la violazione di regole, siano esse contabili o di opportunità economica, nell’impiego delle somme”.
IL CASO
La Corte di Cassazione con la decisione in esame è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato dal Procuratore della Repubblica avverso la sentenza di non doversi procedere emessa nei confronti di quattro coimputati. Questi ultimi venivano chiamati a rispondere per i reati di cui agli artt. 81, 110, 314 e 61 n. 7 c.p., in quanto nella qualità di membri del c.d.a. di una società in house, dunque pubblici ufficiali, distraevano un’ingente somma di denaro relativi a fondi di derivazione comunitaria per la realizzazione delle finalità della stessa e, pertanto, aventi destinazione vincolata. In particolare, la condotta distrattiva avveniva mediante l’autorizzazione della sottoscrizione di diversi titoli azionari e obbligazionari ad alto rischio per un complessivo ammontare di euro 46.350.000 presso un istituto bancario. Il giudice di prime cure, previa riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 314-bis c.p., dichiarava di non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.
Nell’unico motivo di ricorso il Procuratore della Repubblica lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla riqualificazione della fattispecie in contestazione, dalla quale è poi conseguita la declaratoria di intervenuta prescrizione.
Invero, la decisione manca di considerare che l’investimento in fondi ad alto rischio rappresenta una violazione dello statuto della società in house e delle finalità ivi previste. Su questa premessa, pertanto, la riqualificazione operata dal giudice di primo grado è errata: difatti, si sostiene nel ricorso che rientrano nell’alveo del reato di peculato anche le condotte di carattere distrattivo, nonostante l’introduzione dell’art. 314-bis c.p.
LA QUESTIONE
L’unico motivo di ricorso consente alla Corte di Cassazione di confermare l’indirizzo giurisprudenziale prevalente in tema di riconducibilità della sole condotte distrattive appropriative nell’alveo dell’art. 314 c.p.
LA SOLUZIONE
In particolare, il Collegio ritiene ancora valido il principio di diritto statuito dalle Sezioni Unite Vattani (Cass. pen. Sez. Un., 2 maggio 2013, sentenza n. 19054) secondo il quale la condotta di appropriazione dell’art. 314 c.p. si articola in due momenti: un primo momento negativo, c.d. “espropriazione”, consistente nell’indebita alterazione dell’originaria destinazione del bene; un secondo momento positivo, c.d. “impropriazione”, in cui il soggetto attivo strumentalizza il bene a vantaggio di un soggetto diverso dal titolare del diritto preminente. In altri termini, la condotta appropriativa si manifesta con l’interversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, il quale si comporta, oggettivamente e soggettivamente, uti dominus nei confronti del beneposseduto in ragione dell’ufficio, estromettendolo così dal patrimonio dell’avente diritto.
È in questa prospettiva che deve risolversi la questione circa l’attuale rilevanza delle condotte distrattive nel delitto di peculato, nonostante l’espunzione del termine “distrazione” in forza della Legge 26 aprile 1990, n. 86, recante “Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” dal disposto dell’art. 314 c.p. Invero, solo la condotta c.d. appropriativa-distrattiva rientra in quest’ultima disposizione: essa è caratterizzata non da una semplice violazione delle regole contabili o statutarie, bensì dall’impressione di una destinazione incompatibile con la finalità pubblica all’oggetto materiale del reato, al punto da negarla. Solo in questa evenienza, difatti, si realizza una appropriazione completa dei due momenti esplicitati dalle SS.UU. Vattani (Cass. pen. Sez. Un., 2 maggio 2013, sentenza n. 19054): in particolare, la destinazione privatistica inconciliabile con quella pubblica si insinua nel momento positivo di “impropriazione”.
Per converso, non integra l’art. 314 c.p., ma l’attuale art. 314-bis c.p. in seguito all’abrogazione dell’art. 323 c.p., il c.d. abuso distrattivo, il quale si manifesta nella destinazione di denaro o beni posseduti per ragioni d’ufficio per soddisfare anche interessi privati oltre a interessi pubblici obiettivamente esistenti.
Pertanto, secondo il giudice di legittimità è punibile a titolo di peculato solo la distrazione appropriativa, la quale richiede una destinazione privatistica delle somme o dei beni distratti incompatibile con quella pubblica alla quale erano vincolati. Di conseguenza, non è sufficiente ai fini dell’art. 314 c.p. la sola divergenza dalla finalità istituzionale o la violazione di regole contabili o di opportunità economica.
Calando queste considerazioni al caso di specie, la Corte di Cassazione esclude comunque la configurabilità dell’art. 314-bis c.p. Difatti, la condotta degli imputati non può essere qualificata come abuso distrattivo, difettando qualsiasi prova circa l’evento del reato e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale.
In assenza di tali elementi costitutivi, dunque, il Collegio dichiara d’ufficio ex art. 129 c.p.p. l’insussistenza del fatto e annulla senza rinvio la sentenza impugnata.
Nota a cura di Mirco Paglia