Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Il rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata: la soluzione della Cassazione alla luce del principio di specialità

Cass. pen, Sez. II. 19 agosto 2025, sentenza n. 29568

 

LA MASSIMA

“Il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata, va ribadito anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, fatto meno grave rispetto alle indicate ipotesi di frode fiscale, poiché, anche in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese od altri oneri inesistenti, comporta esclusivamente un vantaggio fiscale per il contribuente, senza invece che sussistano ulteriori profitti diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate. Pertanto, anche nel rapporto tra dichiarazione infedele e truffa aggravata, sussiste l’identica ratio già individuata dalle Sezioni Unite che hanno sottolineato la generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato”

IL CASO

La vicenda trae origine da un ricorso proposto avverso la decisione, emessa in sede di riesame, di annullamento del decreto con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva disposto il sequestro preventivo ritenendo sussistente a carico dell’indagato il reato di truffa aggravata perché, mediante artifizi e raggiri consistiti nell’indicare elementi fittizi e non veritieri nelle dichiarazioni fiscali presentate con modello 730, aveva indotto in errore l’Agenzia delle Entrate in ordine all’esistenza di un credito di imposta erogato tramite rimborsi non dovuti.

Tra gli altri motivi, il ricorrente lamentava la violazione di legge in punto di qualificazione giuridica del fatto, inquadrato erroneamente nella fattispecie di cui all’art. 4 D.lgs. n. 74/2000 invece che in quella prevista dall’art. 640, comma 2, c.p.

Veniva infatti rilevato che l’attività delittuosa si era resa possibile attraverso condotte quali l’acquisizione delle credenziali di accesso ai servizi telematici dei contribuenti e l’inserimento delle dichiarazioni non veritiere tramite l’utilizzo di sigle sindacali inesistenti idonee a costituire gli artifizi e raggiri in cui consiste il delitto di truffa aggravata.

Come correttamente rilevato dal Tribunale del riesame, avendo l’indagato conseguito esclusivamente un vantaggio di natura fiscale senza conseguire un profitto ulteriore e diverso rispetto a quello dell’evasione, ricorrevano solamente gli estremi per la configurazione del delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 D.lgs. n. 74/2000, che prevede una soglia di punibilità nella specie non superata.

Alla luce delle esposte considerazioni, la Corte di cassazione non ha accolto il ricorso.

LA QUESTIONE

La Corte di cassazione è tornata ad occuparsi del rapporto tra reati tributari e truffa aggravata, ribadendo un principio già enunciato dalle Sezioni Unite.

LA SOLUZIONE

La Cassazione, richiamando quanto precedentemente osservato dalle Sezioni Unite con riguardo alle differenti fattispecie di cui agli artt. 2 e 8 D.lgs. n. 74/2000, ha ritenuto esistente un rapporto di specialità tra le norme incriminatrici tributarie e il delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, in quanto la condotta fraudolenta volta alla evasione fiscale esaurisce il proprio disvalore penale all’interno della cornice delineata dalla normativa speciale dettata dal D.lgs. n. 74/2000, salvo che dalla medesima condotta derivi un profitto diverso e ulteriore rispetto a quello dell’evasione, come l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

La Corte di cassazione ha evidenziato come il principio affermato dalle Sezioni Unite con riferimento ai rapporti tra i reati di emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti e la fattispecie di truffa aggravata debba trovare applicazione anche in caso di dichiarazione infedele ex art. 4 d.lgs. 74/2000.

Difatti, in tal caso, l’ottenimento di rimborsi non dovuti a seguito della falsa rappresentazione di spese o altri oneri inesistenti comporta esclusivamente un vantaggio di natura fiscale per il contribuente, senza che sussistano profitti ulteriori e diversi rispetto a tale operazione effettuata in danno dell’Agenzia delle Entrate.

Sul punto, le Sezioni Unite, con motivazione che rileva anche in relazione al rapporto tra il delitto di truffa aggravata e la fattispecie di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 d.lgs. 74/2000, hanno inoltre precisato che “la negazione del rapporto di specialità tra frode fiscale e truffa ai danni dell’Erario, si pone in contraddizione con la linea di politica criminale e con la ratio che ha ispirato il legislatore nella riforma di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 […] una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria”(Cass. pen., Sez. Un., 19 gennaio 2011, sentenza n. 1235).

Qualsiasi condotta di frode al fisco troverà pertanto la sua risposta repressiva esclusivamente nella legislazione speciale tributaria, senza possibilità di recuperare condotte non punibili per mancato superamento delle soglie di punibilità nell’alveo delle generali ipotesi di truffa aggravata in danno dello Stato.

Nota a cura di Chiara Tapino