Cassazione, Diritto Processuale Penale, Sentenze

Limiti del sindacato di legittimità sulle ricostruzioni fattuali

Cass. pen., Sez. III, 3 luglio 2025, sentenza n. 24427


LA MASSIMA

“In tema di reati tributari, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione di vizi motivazionali, si risolva nella mera richiesta di una rivisitazione delle risultanze processuali, non consentita in sede di legittimità, e risulti privo di censure inerenti evidenti errori logici o manifesta illogicità della motivazione”.

IL CASO

La sentenza in esame riguarda il ricorso proposto dall’imputato, condannato per i reati di cui agli artt. 2 e 10 del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74 recante la “Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto”, relativi rispettivamente alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti e all’occultamento o distruzione di scritture contabili.

La Corte d’Appello, nel confermare la decisione di primo grado, dichiarava estinto per prescrizione il reato di cui all’art. 8 del medesimo decreto (emissione di fatture false), procedendo contestualmente alla rideterminazione della pena, fissata in due anni e quattro mesi di reclusione.

Contro tale pronuncia, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, articolando una pluralità di motivi, come la contestazione della sussistenza sia dell’elemento oggettivo sia di quello soggettivo dei reati ascritti, specialmente con riferimento al dolo specifico di evasione.

In particolare, il ricorrente lamentava che la propria responsabilità fosse stata affermata sulla base di presunzioni tributarie e della sola deposizione di un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, ritenute insufficienti, oltre a denunciare l’erroneità di alcuni accertamenti relativi all’effettiva operatività della propria ditta.

Contestata la motivazione ritenuta illogica e contraddittoria in merito alla falsa denuncia di furto delle scritture contabili, nonché l’errata valutazione dell’impatto probatorio di tale condotta, procedeva – altresì – a contestare il trattamento sanzionatorio (art. 133 c.p.), eccessivo rispetto ai criteri legali, in virtù dell’assenza di motivazione sull’aumento per la continuazione, la ridotta rideterminazione per l’estinzione del reato e il mancato riconoscimento della sospensione condizionale.

LA QUESTIONE 

La questione sollevata nel giudizio di legittimità consente di riflettere sull’estensione del sindacato esercitabile dalla Corte di Cassazione in relazione ai vizi motivazionali previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., con particolare riguardo alla possibilità di censurare, in suddetta sede, la ricostruzione fattuale operata dal Giudice di merito mediante l’invocazione del cosiddetto “travisamento del fatto”.

Nello specifico, ciò si verifica nei casi in cui il ricorrente deduca vizi della motivazione sotto la forma apparente della violazione di legge, mirando in realtà a una rivalutazione del compendio probatorio già scrutinato nei precedenti gradi di giudizio.

Pertanto, il problema è comprendere se e in quale misura la Suprema Corte possa (o debba) intervenire sul ragionamento probatorio, specie quando vengano allegate omissioni, illogicità o contraddittorietà non manifestamente evidenti.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha assunto da tempo un orientamento costante nel senso di escludere la possibilità di dedurre il travisamento del fatto, a meno che esso non si traduca in un travisamento della prova, cioè in una rappresentazione della stessa in contrasto con gli atti processuali, specificamente indicati, che abbia effettiva forza dimostrativa e tale da disarticolare il ragionamento del giudice (Cass. pen., Sez. Un., 10 dicembre 2003, sentenza n. 47289; Cass. pen., Sez. VI, 26 giugno 2012, sentenza n. 25255).

In base a tale indirizzo, il controllo da esercitare non può consistere in una nuova lettura del materiale probatorio né in una diversa valutazione dei fatti già esaminati dai giudici di merito, essendo circoscritto alla verifica della presenza di motivazioni solo apparenti, manifestamente illogiche, contraddittorie o fondate su errori percettivi rilevanti.

 LA SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i motivi presentati, in quanto volti a una rivalutazione del fatto, attività preclusa in sede di legittimità, ribadendo – altresì – che il controllo previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. è circoscritto alla verifica dell’assenza di motivazione, della manifesta illogicità o della contraddittorietà della decisione, senza possibilità di sostituire un nuovo giudizio a quello già compiuto dai giudici di merito.

Inoltre, in riferimento alla sussistenza del dolo specifico nel reato di cui all’art. 2 D. Lgs. n. 74/2000, la Corte ha ritenuto adeguata la motivazione della sentenza impugnata, che aveva individuato l’intento di evasione fiscale nell’artificiosa rappresentazione della realtà contabile e aziendale predisposta dall’imputato.

Quanto al reato di occultamento o distruzione di scritture contabili (art. 10 D. Lgs. n. 74/2000), è stato dichiarato manifestamente infondato: invero, la Corte ha richiamato il consolidato orientamento secondo cui non è necessaria un’impossibilità assoluta di ricostruzione del volume d’affari, essendo sufficiente anche una difficoltà oggettiva provocata dalla condotta dell’agente, come nel caso di specie, in cui la falsa denuncia di furto aveva reso più ardua l’attività di verifica fiscale.

Infine, è stato ritenuto infondato anche il tema relativo all’eccessività della pena e la mancata concessione della sospensione condizionale, rilevando che il Giudice di merito aveva adeguatamente motivato la determinazione della pena base e gli aumenti per la continuazione, facendo riferimento alla pervicacia della condotta criminosa.

Parimenti infondata, in quanto generica, è stata ritenuta la doglianza sulla mancata concessione del beneficio ex art. 163 c.p.

La pronuncia si è, quindi, conclusa con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., non essendo ravvisabile assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.

Nota a cura di Giuliana Raco