Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Principio di inesigibilità della condotta e reati ambientali

Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2025, sentenza n. 24718

LA MASSIMA
“In materia di smaltimento di rifiuti tossici o nocivi, per escludere la responsabilità dell’agente, cioè di colui che ha commesso l’azione incriminata, è necessario rinvenire una determinata causa di giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità (oggettiva o soggettiva). In tal senso, è speciale causa di esclusione della punibilità quella prevista dall’art. 191, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui il sindaco può emettere, per un periodo massimo di 18 mesi, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive dell’Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. In mancanza dell’ordinanza, tuttavia, il sindaco non può invocare a giustificazione della accertata condotta illecita la necessità di tutelare la salute della popolazione quando questa tutela poteva essere soddisfatta con modalità diverse”.

IL CASO
Con la sentenza impugnata, il Tribunale territorialmente competente dichiarava i ricorrenti colpevoli del reato di cui agli artt. 137, comma 1 e 256, D. lgs. n. 152 del 2006, loro ascritto in concorso, per aver effettuato scarichi di acque reflue industriali e rifiuti speciali in assenza della prescritta autorizzazione; nella sentenza era stato ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato in capo ad entrambi i ricorrenti, senza tuttavia considerare, secondo la difesa degli stessi, che per la sussistenza dell’elemento psicologico fosse necessaria una volontà cosciente e libera, che sarebbe stata, nella specie, esclusa dall’impossibilità di esecuzione dei lavori di realizzazione dei depuratori per mancanza delle necessarie risorse finanziarie.
Inoltre, nella sentenza impugnata si affermava la sussistenza della responsabilità dei ricorrenti quantomeno a titolo di omessa vigilanza degli scarichi, che faceva emergere una rimproverabilità per negligenza delle condotte ascritte; si sussumevano, pertanto, le condotte nella categoria dei reati omissivi, malgrado l’effettiva contestazione ai ricorrenti di reati in forma commissiva (scarico di acque reflue fognarie).
Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione gli imputati, articolati in un unico motivo, deducendo ambedue il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 192, cod. proc. pen. e correlato vizio di motivazione.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, attraverso requisitoria scritta, concludeva per l’inammissibilità dei ricorsi; la Corte dichiarava i ricorsi manifestamente infondati.

LA QUESTIONE
Con i due motivi di ricorso, identici, i ricorrenti deducevano l’errore del Tribunale territorialmente competente per aver ritenuto sussistere l’elemento psicologico del reato in capo ad entrambi, malgrado, nel caso di specie, non potesse configurarsi una volontà cosciente e libera, alla luce del fatto che vi fosse l’impossibilità di esecuzione dei lavori di realizzazione dei depuratori per mancanza delle necessarie risorse finanziarie.
La difesa, inoltre, censurava la sentenza impugnata anche nella parte in cui contestava ai ricorrenti una responsabilità almeno a titolo di omessa vigilanza degli scarichi, dunque, una responsabilità per negligenza, tipica della categoria dei reati commessi in forma omissiva; ciò in contrasto con la concreta contestazione mossa ai ricorrenti di reati in forma commissiva (scarico di acque reflue fognarie).

LA SOLUZIONE
La Corte Suprema, rispetto alle censure prospettate, ha rilevato che l’elemento soggettivo (configurato dal Tribunale competente in termini di colpa cosciente) fosse riconducibile alle condotte agli imputati, in concorso morale e materiale, in funzione della qualifica rivestita dagli stessi; si legge in sentenza, invero, che l’uno, all’epoca dei fatti, era il Sindaco del Comune coinvolto, mentre l’altro era il responsabile dell’Ufficio tecnico del predetto Comune.
Con riferimento alla seconda censura, anch’essa ritenuta priva di pregio dalla Corte, si è evidenziato come, ai sensi dell’art. 40 cod. pen., l’equiparazione tra non impedire un evento, che si abbia l’obbligo giuridico di impedire, ed il cagionarlo, consente di configurare la stessa equiparazione tra le fattispecie commissive e le fattispecie omissive improprie, ogniqualvolta l’ordinamento giuridico ponga in capo al soggetto (attivo dell’illecito) il dovere di assicurare il rispetto del bene penalmente protetto.
Infine, la Corte ha escluso che la difesa dei ricorrenti possa invocare un generale principio di inesigibilità della condotta.
Invero, come già affermato in materia di smaltimento di rifiuti tossici o nocivi, per escludere la responsabilità dell’agente, cioè di colui che ha commesso l’azione incriminata, è necessario rinvenire una determinata causa di giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità (oggettiva o soggettiva). In tal senso, è speciale causa di esclusione della punibilità quella prevista dall’art. 191, D.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui il sindaco può emettere, per un periodo massimo di 18 mesi, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive dell’Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. In mancanza dell’ordinanza, tuttavia, il sindaco non può invocare a giustificazione della accertata condotta illecita (nella specie, lo sversamento incontrollato di acque reflue fognarie senza essere sottoposte ad alcun ciclo di depurazione) la necessità di tutelare la salute della popolazione quando questa tutela poteva essere soddisfatta con modalità diverse.

Nota a cura di Chiara Esposito (avvocato)