Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Abbandono incontrollato di rifiuti e culpa in vigilando

Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2025, sentenza n. 22081

LA MASSIMA

“In materia ambientale, i titolari e i responsabili di enti e imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo dell’omessa vigilanza dei dipendenti che abbiano posto in essere la condotta di abbandono”.

IL CASO

L’imputato veniva condannato per i reati di cui agli artt. 192 e 256, co. 2, d.lgs. n. 152/2006 per avere, costui, in qualità di rappresentante legale di una società di gestione di attività alberghiere, omesso di vigilare sulla corretta attività di smaltimento dei rifiuti, essendo stati, gli stessi, abbandonati lungo la strada da alcuni dipendenti delegati allo svolgimento di tale attività.

Siffatta condotta, veniva giustificata alla luce dell’insufficienza dei mastelli di raccolta ivi presenti.

LA QUESTIONE

La questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, oltre ai profili strettamente processualistici riferibili alla presunta violazione dell’art. 606, co. 1, lett. b), c) ed e), in relazione agli artt. 125, 192, 533 e 546 c.p.p., attiene, altresì, alla presunta violazione di legge in ordine alle fattispecie di reato addebitate al ricorrente, il quale censura la sentenza di condanna con riferimento alla applicazione dell’art. 256, co. 2, d.lgs. n. 152/2006, in base al quale sono puniti i titolari di imprese e i responsabili di enti che abbandonano o depositano in modo incontrollato i rifiuti in violazione del divieto di cui all’art. 192, co. 1 e 2.

In dettaglio, l’imputato deduce di aver delegato la descritta attività a dei propri dipendenti e, comunque, rappresenta che i mastelli di raccolta in dotazione forniti dal servizio di raccolta comunale non sono sufficienti, ragion per cui, l’avere depositato i rifiuti sulla pubblica via non costituirebbe abbandono.

LA SOLUZIONE

Il ricorso è stato ritenuto inammissibile. Per ciò che attiene le doglianze avanzate in ordine alla violazione dei crismi processualistici imposti ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, la Corte di legittimità, ha evidenziato che, l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, gravante in capo al ricorrente, non è stato rispettato e, pertanto, «la promiscua mescolanza dei motivi di ricorso […] rende l’impugnazione assolutamente aspecifica e quindi inammissibile».

In merito alla soluzione adottata sulle ulteriori censure avanzate, la Corte di Cassazione ha chiarito che «l’abbandono dei rifiuti urbani al di fuori dagli appositi contenitori è vietato e sussiste l’onere […] di controllare la corretta attività di smaltimento» gravante sul legale rappresentante dell’ente o dell’impresa che si ritrova a gestire rifiuti.

Secondo la ricostruzione offerta, dunque, il titolare si ritrova, per ciò solo, a ricoprire una posizione di garanzia, dalla quale deriva una responsabilità anche di natura omissiva.

Secondo il ragionamento dei giudici di legittimità, la giustificazione fornita dall’imputato, circa l’insufficienza dei contenitori offerti dal servizio di raccolta comunale, denota la negligenza del ricorrente e ne attesta, inoltre, la riferibilità della condotta al medesimo.

Quest’ultimo, dunque, avrebbe tenuto una «condotta imprenditoriale quanto meno negligente nella gestione dei rifiuti prodotti», in quanto, a fronte della insufficienza dei contenitori presenti, avrebbe dovuto utilizzare altri contenitori, presso un diverso punto di raccolta.

Si è sottolineato, poi, che, al fine di esonerare da siffatta responsabilità il titolare, non è nemmeno sufficiente aver conferito specifica delega allo svolgimento di tale attività ai propri dipendenti, qualora la medesima non sia caratterizzata da precisi requisiti di puntualità, assenza di discrezionalità in capo al delegato, idoneità e professionalità di costui allo svolgimento del compito impartitogli, relativo potere decisionale di spesa e capacità di provare la delega giudizialmente.

La delega, inoltre, dovrà essere giustificata dalle dimensioni o dalle esigenze organizzative dell’impresa, fermo restando l’onere di vigilanza del delegante al corretto espletamento della medesima.

In conclusione, la Corte ha chiarito che, ai fini della configurabilità della fattispecie di reato di cui all’art. 256, co. 2, d.lgs. n. 152/2006 è sufficiente che un soggetto abbandoni rifiuti nell’esercizio, anche di fatto, di una attività economica «indipendentemente dalla qualifica formale rivestita dall’agente o dalla natura dell’attività medesima», gravando sul responsabile l’onere di vigilare sull’attività dei propri dipendenti, incorrendo, in caso negativo, in culpa in vigilando.

Nota a cura di Renato Martucci (Avvocato)