La responsabilità amministrativa da reato nelle società unipersonali

Cass. pen., Sez. III, 12 giugno 2025, n. 22082
LA MASSIMA
“La responsabilità amministrativa degli enti, in caso di reati commessi nel loro interesse o vantaggio, riguarda anche le società unipersonali, purché sia individuabile un interesse sociale distinto da quello dell’unico socio, tenendo conto non solo dei rapporti tra socio unico e società, ma anche dell’organizzazione della stessa, dell’attività svolta e delle dimensioni dell’impresa”.
IL CASO
La Corte di Appello, in riforma della sentenza resa dal giudice di prime cure, aveva riqualificato il fatto di cui al capo sub c) dell’imputazione ai sensi dell’art. 25-undecies, comma secondo, lett. b), numeri 1) e 2), del Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231 e, riconosciuta l’ipotesi di cui all’art. 12, comma primo, lett. b) della stessa normativa, aveva rideterminato la pena inflitta alla società imputata in quella di settantacinque quote da euro 300,00 ciascuna. Quanto al legale rappresentante dell’ente, invece, il Collegio aveva dichiarato l’improcedibilità nei confronti del medesimo per intervenuta prescrizione dei reati.
La società condannata proponeva ricorso per Cassazione denunciando, tra l’altro, la violazione dell’art. 5 del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, per l’insussistenza di un interesse ovvero di un vantaggio in favore dell’ente.
Sul punto deduceva che il socio e amministratore unico pro tempore della società aveva accentrato su di sé il potere direttivo, gestionale e il potere di spesa dell’ente, di tal che non era configurabile un interesse aziendale distinto da quello della persona fisica che deteneva l’intero capitale sociale.
Assumeva, altresì, che il numero di dipendenti impiegati presso la società, così come valorizzato dalla Corte territoriale, non era idoneo a dimostrare l’esistenza di una dualità soggettiva tra l’ente e l’amministratore dello stesso.
A ulteriore detrimento delle conclusioni assunte dalla sentenza di secondo grado, la ricorrente sosteneva che la società non aveva conseguito alcun vantaggio economico, non essendo stata rinvenuta sui conti correnti dell’ente una cifra corrispondente a quella ipotizzata come illecitamente risparmiata dalla Corte d’Appello.
La società ricorrente, inoltre, deduceva la violazione dell’art. 11 del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, trattandosi, nel caso di specie, di un’ipotesi prevista dall’art. 12, comma primo, del citato decreto legislativo, con conseguente necessaria rideterminazione della pena stabilita ex lege in euro 103,00.
LA QUESTIONE
È richiesto alla Corte di Cassazione di chiarire se possa escludersi la responsabilità amministrativa per le società unipersonali, ovvero se, e al ricorrere di quali presupposti, sulle stesse possano gravare le sanzioni pecuniarie previste dalla disciplina in materia di responsabilità amministrativa dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
LA SOLUZIONE
La Cassazione premette che l’applicazione della disciplina di cui al citato D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 alle società di capitali unipersonali è tema alquanto delicato poiché, al cospetto di aziende di ridotte dimensioni e qualora sussista piena sovrapponibilità tra gli interessi personali della persona fisica e dell’ente, è concreto il rischio di una duplicazione della sanzione nei confronti del medesimo soggetto.
Ciò posto, la Corte osserva che è ammissibile l’inclusione tra i destinatari della disciplina dettata dal D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231 delle società unipersonali, a condizione che possa individuarsi un interesse sociale distinto da quello dell’unico socio, avuto conto tanto dell’organizzazione della società, quanto dell’attività svolta dalla stessa, delle dimensioni dell’impresa, nonché dei rapporti tra socio ed ente.
Tale tesi ermeneutica trova peraltro pieno conforto nel dato normativo, atteso che l’art. 6, comma quarto, del citato decreto, prevede che negli enti di piccole dimensioni i compiti indicati nella lettera b) del comma 1 possano essere svolti direttamente dall’organo dirigente.
Ebbene, è parere della Suprema Corte che i giudici di appello abbiano fatto buon governo del descritto approdo giurisprudenziale, valorizzando opportunamente il numero di dipendenti della società ricorrente e l’organizzazione aziendale della stessa, nel caso di specie tutt’altro che rudimentale e inconsistente.
Invero, osserva la Corte che il processo inferenziale attraverso cui, nella sentenza impugnata, si è pervenuti alla ritenuta dualità soggettiva fra ente e persona fisica, non presta affatto il fianco alle proposte censure difensive.
Viceversa, è stato opportunamente dimostrato che la società ricorrente era connotata da interessi propri, da un’organizzazione articolata e da un patrimonio consistente che la rendevano soggetto economico e giuridico diverso e distinto dalla persona fisica che lo amministrava e che ne deteneva il capitale sociale.
Allo stesso modo, conclude la Cassazione, la motivazione della Corte territoriale non presenta vizi neppure in ordine al requisito dell’interesse e del vantaggio, non sussistendo il legame di necessaria derivazione fra il risparmio di spesa e la liquidità dell’impresa cui la difesa dell’istante aveva fatto riferimento per contestare la riferibilità dei reati all’ente.
In ragione delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte si è espressa per la manifesta infondatezza del motivo del proposto gravame.
La corte ha invece ritenuto meritevole di accoglimento l’ultimo dei capi del ricorso, afferente all’eccessività della sanzione pecuniaria comminata in appello. Di talché la Corte di Cassazione ha annullato la gravata sentenza limitatamente alla pena, rideterminandola in melius senza necessità di rinvio, sul punto, alla Corte territoriale.
Nota a cura di Nicola Pastoressa (avvocato)