Art. 130 c.p.p.: errore verificatosi nel calcolo della pena

Cass. pen., Sez. IV, 29 maggio 2025, sentenza n. 20183
LA MASSIMA
“L’eventuale errore verificatosi nel calcolo della pena conseguente all’esclusione in appello di una circostanza aggravante ad effetto speciale, non dedotto nella fase di cognizione, non può essere rilevato nella fase esecutiva con la richiesta di errore materiale, non potendo farsi ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale da parte del giudice dell’esecuzione quando si realizzi un’indebita integrazione del dispositivo della sentenza di merito, che si risolve in una modifica rilevante, essenziale e significativamente innovativa del contenuto della decisione”.
IL CASO
Con l’ordinanza impugnata, la Corte d’Appello territorialmente competente, ex art. 130 c.p.p., provvedeva alla correzione dell’errore materiale contenuto nel dispositivo della sentenza emessa dalla stessa Corte nel luglio 2002 e con la quale il ricorrente era stato condannato alla pena di anni dieci di reclusione in relazione al reato previsto dall’art. 74 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309; nell’ordinanza si rilevava che la richiesta aveva a oggetto l’esclusione dell’aumento apportato per effetto dell’applicazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 7 della L. n. 203/1991 (ora, art. 416-bis.1 c.p.), mai contestata all’imputato, con conseguente istanza di rideterminazione della pena, quantificata dal giudice della cognizione in anni dieci di reclusione a seguito della diminuente determinata dalla scelta del rito.
La Corte competente asseriva che la richiesta di riduzione della pena non potesse essere accolta, atteso che la menzione della predetta aggravante non era stata posta alla base di alcun incremento effettivo della sanzione e che, in ogni caso, la sentenza era divenuta irrevocabile con conseguente impossibilità di intervenire in ordine al quantum della pena.
Procedeva pertanto ad eliminare dal dispositivo della sentenza la sola menzione della suddetta circostanza aggravante, ferma restando la sanzione finale di anni dieci di reclusione.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione il ricorrente, articolato in un unico motivo, deducendo la violazione della legge penale in riferimento agli artt. 125, 133 c.p.p. e 74 T.U. stup.
Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, attraverso requisitoria scritta, concludeva per l’inammissibilità del ricorso; la Corte dichiarava il ricorso inammissibile in quanto manifestamente infondato.
LA QUESTIONE
Con l’unico motivo di ricorso, dichiarato inammissibile e infondato, il ricorrente deduceva l’errore della Corte d’Appello territorialmente competente la quale, nell’accogliere l’istanza di correzione dell’errore materiale (art. 130 c.p.p.) relativo al calcolo della pena, aveva in realtà provveduto alla mera eliminazione nominale dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 c.p. dal dispositivo della sentenza, senza procedere a un ricalcolo della sanzione: la pena base, difatti, era stata determinata in anni quattordici alla luce dell’aggravante, così sforando rispetto al minimo trattamento edittale previsto dalla norma incriminatrice; solo la scelta del rito aveva ridotto la misura della pena ad anni dieci.
LA SOLUZIONE
La Corte Suprema, rispetto alla censura prospettata, ha rilevato che l’eventuale errore verificatosi nel calcolo della pena conseguente all’esclusione in appello di una circostanza aggravante ad effetto speciale, non dedotto nella fase di cognizione, non può essere rilevato nella fase esecutiva con la richiesta di errore materiale, non potendo farsi ricorso alla procedura di correzione dell’errore materiale da parte del giudice dell’esecuzione quando si realizzi un’indebita integrazione del dispositivo della sentenza di merito, che si risolve in una modifica rilevante, essenziale e significativamente innovativa del contenuto della decisione. Esula infatti del tutto dai poteri del giudice dell’esecuzione, anche in sede di correzione disposta ai sensi dell’art. 130 c.p.p., qualsiasi potere di emendare il processo volitivo del giudice della cognizione.
Nota a cura di Chiara Esposito (avvocato)