Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Le cause sopravvenute che interrompono il nesso causale

Cass. pen., Sez. IV, 22 maggio 2025, sentenza n. 20185

LA MASSIMA

“Ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, le cause sopravvenute idonee ad escludere il rapporto di causalità sono solo quelle che innescano un processo eziologico completamente autonomo da quello determinato dalla condotta omissiva o commissiva dell’agente, ovvero danno luogo ad uno sviluppo anomalo, imprevedibile e atipico, pur se causalmente riconducibile ad essa, dovendosi quindi essere in presenza di un processo indipendente di cause che faccia sì che l’evento non possa verificarsi se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta posta in essere dall’agente”.

 

IL CASO

La Corte d’Appello confermava la condanna, per il reato di cui all’art.590-bis, commi 1 e 5, n.2), c.p., a un anno di reclusione con sospensione condizionale subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità, con sanzione accessoria della sospensione della patente di guida per un anno e sei mesi.

Nell’impugnare la sentenza, il ricorrente formulava cinque motivi di ricorso: in primo luogo, deduceva la mancata derubricazione della fattispecie contestata nell’ipotesi non aggravata, sostenendo che l’invasione dell’opposta corsia di marcia fosse involontaria in quanto unicamente determinata dal rischio di tamponare la vettura sopraggiunta dalla direzione contraria.

Contestava, poi, la conclusione dei giudici di merito secondo cui lo stesso avrebbe tenuto una velocità non commisurata alle condizioni ambientali, ritenendo che l’urto fosse stato di lieve entità e che il successivo posizionamento del mezzo fosse stato determinato dall’urto contro la Fiat 500 proveniente dal senso opposto di marcia, ritenendo quindi configurabile un concorso di colpa della persona offesa.

Aggiungeva che i giudici di seconde cure non avevano tenuto conto della mancanza sul reatro dei segnali indicanti il limite di velocità, degli estremi dell’ordinanza.

Il ricorrente lamentava, inoltre, l’interruzione del nesso causale sostenendo che la condotta del conducente della Fiat 500, proveniente dall’altro lato, avrebbe contribuito in modo determinante all’incidente, ritenendo che la tenuta di una velocità adeguata avrebbe consentito all’imputato di evitare l’urto.

Infine, adduceva il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

LA QUESTIONE

I motivi di ricorso dedotti offrono alla Suprema Corte la possibilità di ribadire quali cause, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p., possano essere ritenute idonee ad interrompere il nesso di causalità innescato dall’agente.

LA SOLUZIONE

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso in quanto propedeutico ad una rivisitazione delle prove e della ricostruzione dei fatti già esaminati dal giudice di merito e non consentita in sede di legittimità.

Ciò premesso, La Corte ha sostenuto che le valutazioni compiute dai giudici di merito in punto di ricostruzione della dinamica del sinistro siano da considerare immuni dal contestato vizio di illogicità, in quanto le testimonianze e i rilievi tecnici hanno correttamente stabilito che l’imputato stava tentando di rientrare nella propria corsia di pertinenza dopo avere effettuato un’invasione dell’opposta corsia di marcia, e in presenza di una striscia continua di mezzeria.

Quanto al secondo motivo, la Corte ha ritenuto adeguatamente provata la velocità non commisurata alle condizioni ambientali, avendo i giudici di merito ricostruito la velocità del mezzo condotto dall’imputato attraverso la valutazione dei danni cagionati alle vetture antagoniste, nonchè all’ampiezza della rotazione subìta dalla vettura dopo la collisione con l’autovettura proveniente dall’altro lato.

Ha aggiunto la Corte che il dato concernente l’elevata velocità di quest’ultima vettura sia stato allegato nel ricorso in maniera del tutto apodittica e priva di riscontri nonché smentita dai testimoni.

Tali argomentazioni hanno portato la Corte a ritenere come anche il terzo motivo sia infondato, oltre che irrilevante, in quanto l’assenza degli estremi dell’ordinanza sui segnali stradali, in ogni caso, non determina il venire meno degli effetti della segnaletica stradale, atteso che la relativa mancanza costituisce una mera irregolarità non invalidante il segnale stesso.

Quanto, invece, al quarto motivo di ricorso, il Supremo Consesso ha preliminarmente ricordato come, in riferimento al principio dettato dal comma 2 dell’art.41 c.p., in presenza del requisito positivo concretizzato dall’aver posto in essere, con la propria condotta, un antecedente necessario in relazione alla verificazione dell’evento, il nesso causale può ritenersi interrotto – con conseguente esclusione della responsabilità dell’agente – in presenza di una serie causale del tutto autonoma e indipendente.

Nel caso di specie, la Corte ha, infatti, rilevato come la condotta di guida del conducente della Fiat 500 non abbia innescato, in presenza dell’antecedente fattuale riconducibile alla condotta del ricorrente, una serie causale del tutto autonoma, così da escludere la condotta medesima come antecedente logico dell’evento.

Ha aggiunto, altresì, in riferimento al concorso della condotta colposa della persona offesa, che tale circostanza è stata solamente asserita e rimasta priva di qualsivoglia dimostrazione sulla base degli elementi istruttori richiamati dal ricorrente.

In ultimo, la Corte ha ricordato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis c.p., per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato.

La Corte ha, dunque, ritenuto che il Tribunale abbia correttamente operato, con motivazione da intendersi richiamata dal giudice di secondo grado, in quanto non vi fosse alcun elemento positivo idoneo a giustificare l’applicazione delle relative circostanze attenuanti oltre alla negativa valutazione del comportamento processuale tenuto dall’imputato e valutato dai giudici.

Su tali basi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Segnalazione a cura di Viviana Guancini