Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Il falso innocuo: i requisiti per l’esclusione della rilevanza penale del falso

Cass. pen., Sez. V, 28 aprile 2025, sentenza n. 16012
LA MASSIMA
“Il falso innocuo sussiste quando l’infedele attestazione nel falso ideologico o la compiuta alterazione nel falso materiale siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale. Invero, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo. L’innocuità deve essere valutata non in relazione all’uso che venga fatto dell’atto, ma in relazione all’idoneità dello stesso ad ingannare la fede pubblica.”
IL CASO
La Corte di appello, in riforma della pronuncia di primo grado, ha assolto l’imputata dal reato di falso in atto pubblico perché il fatto non sussiste. La parte civile ha proposto ricorso per Cassazione avverso la citata decisione, denunciando due questioni specifiche: la manifesta contraddittorietà e illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene il falso innocuo poiché relativo soltanto al luogo dove è stato formato l’atto, nonché la violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione poiché le disposizioni del codice civile (artt. 2699 e 2700 c.c.) rendono rilevanti, al fine della valenza di piena prova dell’atto pubblico fidefacente, anche i dati indicativi del luogo dove l’atto è formato.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte riguarda la configurabilità del falso innocuo in caso di falsa attestazione relativa ai soli dati di formale contesto dell’atto pubblico fidefacente.
LA SOLUZIONE
I giudici della V Sezione, nel ritenere il ricorso fondato, procedono con la disamina della ratio alla base della criminalizzazione dei reati di falso. L’ordinamento tutela i contenuti dell’atto proveniente da un pubblico ufficiale al fine di garantire il bene giuridico primario della fede pubblica, ossia “la fiducia che deve riporsi nella veridicità delle attestazioni contenute in documenti pubblici”. Secondo un orientamento consolidato della Suprema Corte (confermato anche da una pronuncia delle Sezioni Unite), il falso innocuo sussiste quando l’infedele attestazione nel falso ideologico o la compiuta alterazione nel falso materiale siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e del suo valore probatorio e, pertanto, non esplicano effetti sulla sua funzione documentale. In particolare, il falso innocuo si configura solo in caso di inesistenza dell’oggetto tipico della falsità, di modo che questa riguardi un atto assolutamente privo di valenza probatoria, quale un documento inesistente o assolutamente nullo. L’innocuità deve essere valutata non in relazione all’uso che venga fatto dell’atto, ma in relazione all’idoneità dello stesso ad ingannare la fede pubblica. In tale contesto ricevono una maggiore tutela i documenti dotati di fede privilegiata (art. 476, comma 2, c.p.), ossia quei documenti precostituiti a garanzia della pubblica fede e redatti da un pubblico ufficiale investito di una speciale potestà documentatrice. Gli atti oggetto del presente giudizio rientrano nella categoria appena richiamata, in quanto provenienti da un pubblico ufficiale investito di potestà certificative e documentatrici e, pertanto, qualificabili come atti pubblici ai fini della tutela penale. Ciò che caratterizza l’atto fidefacente è la sua precostituzione a garanzia della pubblica fede, ossia il fatto che sia destinato ab initio alla prova. Risponde del reato di falso il pubblico ufficiale che forma e sottoscrive attestazioni contrarie al vero contenute nell’atto, qualsiasi sia il loro oggetto ed a prescindere dall’uso che dell’atto si faccia, ovvero a prescindere dalla funzione specifica dell’atto. Nel caso di specie non è neppure configurabile l’ipotesi di falso innocuo poiché la condotta è risultata idonea a ledere la fede pubblica e l’affidamento dei terzi. A sostegno di tale motivazione il Collegio, dopo aver menzionato diverse pronunce in materia di reati di falso (a titolo esemplificativo, Cass. Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 8200), richiama anche la nozione di atto pubblico valida ai fini penalistici ex art. 2699, c.c. ed evidenzia come sia la stessa norma ad attribuire rilevanza anche ai contenuti meramente formali dell’atto (in primis il luogo dove l’atto è stato formato). Alla luce delle esposte ragioni i giudici di legittimità ritengono non condivisibile la motivazione della Corte territoriale nella parte in cui afferma che l’alterazione del luogo dove è stato redatto l’atto e le altre indicazioni formali, sebbene non corrispondenti al vero, non abbiano rilievo penale, considerata la diversa funzione fidefacente dell’atto. Secondo i giudici di merito, inoltre, l’alterazione della verità sarebbe intrinsecamente priva di effetti giuridici dal momento che sono stati correttamente rappresentati gli elementi di fatto di cui l’atto era destinato a provare la veridicità. Per questi motivi la Corte di Cassazione annulla la sentenza impugnata per gli effetti civili e rinvia per un nuovo giudizio al giudice civile competente.
A cura di Mariarosaria Cristofaro