Successione di norme nel tempo: l’aggravante della c.d. truffa telematica e il regime di procedibilità a querela di parte

Cass. pen., Sez. II, 11 aprile 2025, sentenza n. 14217
LA MASSIMA
“In tema di c.d. truffa telematica, aggravante introdotta con L. 90/2024 e perseguibile a querela di parte, in presenza del fenomeno di successione di leggi nel tempo a norma dell’art. 2, comma 4 c.p., il principio dell’applicazione della norma sopravvenuta più favorevole al reo opera anche con riguardo al regime di procedibilità, attesa la natura mista – sostanziale e processuale – della querela e la concreta incidenza del regime di procedibilità sulla punibilità dell’autore del fatto, così che il giudice, allorché si sia in presenza di reati già perseguibili d’ufficio e divenuti poi perseguibili a querela, deve accertare l’esistenza dell’istanza punitiva anche per i reati commessi anteriormente alla modifica”.
IL CASO
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello ha confermato la decisione del Tribunale in primo grado con la quale l’imputata è stata condannata alla pena di un anno di reclusione e quattrocento euro di multa per il delitto di truffa, aggravata ai sensi dell’art. 640, comma 2, n. 2 ter).
Avverso la sopracitata pronuncia, l’imputata tramite il suo difensore ha proposto ricorso per Cassazione articolando due motivi di doglianza: con il primo motivo ha dedotto la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione nonché l’omessa valutazione delle prove contrarie e il travisamento delle stesse, posto che, secondo la prospettazione difensiva, i giudici della Corte territoriale avrebbero disatteso la richiesta di perizia grafica, così omettendo di rilevare la diversità della firma apposta sul contratto di attivazione dell’utenza telefonica utilizzata per contattare la persona offesa rispetto ad altri atti versati nel fascicolo dibattimentale e sottoscritti dalla ricorrente.
Con il secondo motivo, l’imputata ha dedotto la manifesta illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della minorata difesa, posto che la Corte territoriale non avrebbe fatto buon governo dei principi delineati dalla giurisprudenza di legittimità sul punto, secondo la quale la predetta circostanza è ravvisabile solo nel caso in cui le trattative e la conclusione del contratto siano integralmente avvenuti per via telematica mentre, nel caso di specie, la trattativa è avvenuta mediante contatti telefonici con numeri visibili e messaggistica istantanea, elementi da cui trarre l’esclusione dell’aggravante in parola.
LA QUESTIONE
Investiti della questione, i giudici di legittimità sono stati chiamati a valutare la procedibilità della nuova circostanza aggravante di cui all’art. 640, comma 2, n. 2 ter) in tema di truffa c.d. telematica, laddove il fatto sia commesso a distanza attraverso strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la propria o altrui identificazione.
LA SOLUZIONE
Esaminati i motivi di doglianza, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendo complessivamente infondati entrambi i motivi, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Quanto al primo motivo dedotto, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione dei giudici d’appello circa la riferibilità della sottoscrizione del contratto alla imputata sulla base della diretta comparazione della stessa con scritture autentiche in atti, quali quella in calce al mandato difensivo; la perizia grafica, oggetto di richiesta difensiva non accolta dalla Corte territoriale, non sarebbe stata comunque possibile in assenza dell’originale dell’atto da esaminare.
In secondo luogo, per quanto di interesse in questa sede, i giudici di legittimità hanno ritenuto anche il secondo motivo infondato. Preliminarmente, la Suprema Corte ha dato atto che con la L. n. 90 del 2024 è stato inserito nel corpo dell’art. 640 c.p. l’aggravante della c.d. truffa telematica (che ricorre quando “il fatto è commesso a distanza attraverso strumenti informatici o telematici, idonei ad ostacolare la propria o l’altrui individuazione”), recependo così l’elaborazione giurisprudenziale che ravvisa l’aggravante comune della minorata difesa ex art. 61, n. 5 c.p. altresì in tutte le ipotesi in cui lo strumento della rete viene utilizzato per impedire alla vittima l’identificazione del responsabile. In tali casi, a differenza delle restanti ipotesi aggravate di cui al comma 2, è prevista la punibilità a querela della persona offesa. La Suprema Corte, ravvisando quindi la presenza di un fenomeno di successione di leggi nel tempo, ha affermato che il principio dell’applicazione della norma sopravvenuta più favorevole deve operare anche con riguardo al regime di procedibilità, attesa la natura mista, sostanziale e processuale della querela; pertanto, qualora si sia in presenza di reati già perseguibili d’ufficio e divenuti poi perseguibili ad istanza di parte, il giudice deve accertare l’esistenza della querela per reati che siano stati commessi anteriormente alla modifica normativa, come nel caso di specie.
Ciò posto, quanto alla dedotta insussistenza dell’aggravante in parola, i giudici di legittimità hanno, invece, condiviso quanto sostenuto dai giudici territoriali secondo cui la trattativa è avvenuta costantemente a distanza, tramite l’impiego di strumenti telematici (messaggistica istantanea), con la spendita da parte dell’imputata di false generalità, tali da rendere impossibile l’individuazione dell’interlocutore.
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
A cura di Silvia Mattei