Il danno nel delitto di inquinamento ambientale ex art. 452-bis c.p.

Cass. pen., Sez. III, 1° aprile 2025, sentenza n. 12514
LA MASSIMA
“Il delitto di inquinamento ambientale, ex art. 452-bis c.p., è reato di danno, integrato da un fatto di danneggiamento, manifestato alternativamente nel “deterioramento” o “compromissione”.
In entrambi i casi deve trattarsi di alterazioni significative e misurabili dell’ecosistema, non necessariamente irreversibili.
In ordine alla prova del danno, le condotte di deterioramento o compromissione del bene non richiedono l’espletamento di specifici accertamenti tecnici, non essendo necessari in casi di macroscopica lesione del bene giuridico tutelato”.
IL CASO
La Corte di appello competente confermava la statuizione di primo grado, con la quale gli imputati erano stati condannati in relazione ai reati, avvinti dalla continuazione, di cui agli artt. 110 c.p., 452 bis c. p. e 349 c.p. commessi durante lo svolgimento di attività lavorativa nell’officina meccanica di proprietà degli stessi.
Avverso la sentenza, entrambi gli imputati, a mezzo dei loro difensori, hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo tre comuni motivi.
Si rappresenta, con il primo motivo, il vizio di violazione di legge e di motivazione, anche proponendo la riqualificazione del fatto ai sensi degli artt. 137 e 256 D. lgs. n. 152/06 asserendo l’assenza di alcuna certezza circa la sussistenza e consistenza di una situazione di inquinamento, come da dichiarazioni testimoniali e riscontri fotografici dei luoghi interessati.
Sarebbe emerso che gli olii esausti della officina della società dei coimputati sarebbero stati canalizzati in una cisterna interrata, altri olii sarebbero stati rinvenuti sul piazzale della officina, in ogni caso poi rimossi, con relativa messa in sicurezza dell’area e nessuna bonifica sarebbe stata avviata proprio per assenza di un accertato inquinamento.
In presenza, quindi, solo di olii fuoriusciti dalla cisterna a causa di una mistura di acqua piovana e terra e che avevano intriso il terreno attiguo, si sarebbe dovuto qualificare i fatti solo ex artt. 137 e 256 del D. lgs. n. 152/06.
Con il secondo motivo deducono il vizio di violazione di legge in relazione all’art. 452 decies c.p. e il vizio di mancanza di motivazione perché apparente, contestando la mancata applicazione della attenuante ex art. 452 decies c.p., nonostante gli indagati si siano attivati per evitare il protrarsi di ulteriori conseguenze, collaborando alla messa in sicurezza in corso nelle aree oggetto di imputazione.
Si contesta, in proposito, la esclusione, da parte della corte, di una collaborazione degli imputati, osservando che gli stessi non avrebbero potuto attuare spontaneamente una attività di bonifica tecnicamente intesa, in via autonoma.
Con il terzo motivo, deducono il vizio di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 349 c. p., altresì, rappresentando il travisamento della prova per omissione.
Si sottolinea come con il sequestro operato dall’autorità giudiziaria si fosse comunque data autorizzazione per esercitare la facoltà di proseguire coi processi di lavorazione dell’officina, per cui gli imputati avevano ritenuto di poter accedere al sito sequestrato per svolgere la propria attività lavorativa.
LA QUESTIONE
La Corte di Cassazione è chiamata a vagliare l’operato della Corte di merito sotto plurimi profili; in primo luogo, in merito alla ricostruzione dell’evento di danno anche in riferimento alla richiesta difensiva di riqualificazione del reato nella fattispecie meno grave di cui agli artt. 137 e 256 D. lgs. n. 152/06; in secondo luogo circa il mancato riconoscimento della circostanza attenuante del cd. “ravvedimento operoso” di cui all’art. 542-decies c.p. e all’estensione ai correi della circostanza aggravante della qualità di custode di cui all’art. 349 c.p. in merito al reato contestato di violazione di sigilli.
LA SOLUZIONE
Ai sensi dell’art. 452 bis c.p. è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa fino a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna.
Ai sensi del secondo comma, quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.
Il delitto de quo ha quale oggetto di tutela penale l’ambiente in quanto tale e postula l’accertamento di un concreto pregiudizio a questo arrecato, secondo i limiti di rilevanza determinati dalla nuova norma incriminatrice, che non richiedono la prova della contaminazione del sito nel senso indicato dagli artt. 240 ss. D.lgs. 152 del 2006.
Ai fini dell’integrazione del reato non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, essendo sufficiente un evento di danneggiamento della matrice ambientale che, nel caso del “deterioramento”, consiste in una riduzione della cosa che ne costituisce oggetto in uno stato tale da diminuirne in modo apprezzabile il valore o da impedirne anche parzialmente l’uso, ovvero da rendere necessaria, per il ripristino, una attività non agevole, mentre, nel caso della “compromissione”, consiste in uno squilibrio funzionale che attiene alla relazione del bene aggredito con l’uomo e ai bisogni o interessi che il bene medesimo deve soddisfare.
Proprio perché la tendenziale irreversibilità del danno, se sussistente e concernente l’equilibrio di un ecosistema, integra il più grave reato di disastro ambientale punito dall’art. 452 quater c.p., fino a che tale irreversibilità non si verifica, le condotte poste in essere successivamente all’iniziale “deterioramento” o “compromissione” del bene non costituiscono post factum non punibile, ma integrano singoli atti di un’unica azione lesiva, che spostano in avanti la cessazione della consumazione del reato, sicché, indipendentemente dal fatto che l’inquinamento del sito sia dipeso anche da comportamenti precedenti all’introduzione nell’ordinamento della fattispecie di reato, la prosecuzione della condotta illecita con aggravamento del danno rileva ai fini della sussistenza del reato ipotizzato.
La sentenza impugnata, quanto alla individuazione del reato ex art. 452 bis c.p. si è mossa nell’ambito della cornice giuridica sopra delineata, con riguardo, in particolare, alla ricostruzione dell’evento di danno.
Posto che la contestazione riguarda la compromissione o comunque il deterioramento di porzioni estese di suolo e sottosuolo circostanti una officina meccanica, in ragione delle corrispondenti attività ivi espletate, i giudici di appello hanno evidenziato come l’esercizio dell’officina, per ammissione degli stessi imputati, si sia svolto senza alcuna autorizzazione, né tantomeno senza alcun formulario di smaltimento dei rifiuti e alcun registro di carico e scarico, indici, notoriamente indicativi di una gestione irregolare e di una persistente e imponente attività di sversamento di inquinanti liquidi sul terreno dell’officina e dell’area circostante, cosicché la contestazione attiene alla compromissione o comunque al deterioramento di porzioni estese di suolo e sottosuolo circostanti l’officina meccanica degli imputati.
Consegue l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Quanto al secondo motivo, va premesso che l’art. 452 decies c.p., rubricato come “ravvedimento operoso”, prevede riduzioni di pena per l’associazione per delinquere (art. 416 c.p.) aggravata ai sensi dell’articolo 452-octies e per il delitto di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti per il quale l’intervenuta abrogazione dell’art. 260 d.lgs. 152/06, espressamente richiamato dall’art. 452-decies, deve ritenersi irrilevante, restando il reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti ricompreso entro l’ambito di applicazione di quest’ultima norma in ragione del richiamo dalla stessa effettuato ai “delitti di cui al presente titolo” che comprende ora anche l’art. 452 quaterdecies.
Sotto il profilo testuale, l’articolo in esame riporta una sorta di catalogo di condotte integranti la circostanza attenuante ad effetto speciale in parola e la ratio della disposizione impone l’integrazione, anche nel caso in esame, di un concreto aiuto all’ambiente, estraneo ad una mera attivazione priva di ogni effetto ma orientata ad una prospettiva di risultato.
Deve rilevarsi, altresì, che rientrando nella categoria delle circostanze relative al ravvedimento operoso del reo, partecipa pertanto alla disciplina comune dettata dal codice penale all’art. 62 n. 6, il
quale esprime un principio generale quanto al termine utile perché l’attivazione prestata sia rilevante ai fini della diminuzione della pena.
La disposizione in esame nulla dispone circa le tempistiche entro cui il soggetto deve adoperarsi ai fini ivi descritti, per cui va ritenuto che tale attività debba essersi quantomeno attivata anteriormente all’inizio del dibattimento.
La censura mostra di non cogliere adeguatamente le considerazioni dei giudici, che hanno sottolineato non solo l’assenza di ogni spontanea iniziativa per elidere le conseguenze del reato ma hanno spiegato, inoltre, come la sola attività dei ricorrenti, diretta a rimuovere i residui ferrosi presenti in loco, materiale diverso dai liquidi inquinanti, sia stata necessitata, trattandosi di materiale che ostacolava le operazioni di bonifica e controllo in corso.
Né vale obiettare che ai ricorrenti non poteva imputarsi la mancata bonifica quale procedura tecnica non eseguibile dagli stessi, atteso che nulla esclude la possibilità del privato di contribuire alla bonifica.
I giudici si sono limitati a rilevare l’assenza di qualsivoglia iniziativa, varia e atipica, diretta ad eliminare le conseguenze dannose: il motivo, dunque, è manifestamente infondato.
Riguardo all’ultimo motivo, in ragione del quale si deduce il vizio di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 349 c.p., si osserva come i giudici abbiano dato conto in maniera assolutamente chiara della intervenuta violazione dei sigilli.
Emerge, dalla sentenza, che il sequestro originariamente riguardava aree esterne al capannone, sede dell’officina; la successiva convalida del sequestro ad iniziativa della polizia giudiziaria e il nuovo provvedimento di sequestro da parte del G.I.P., estendeva il vincolo anche al capannone, così che, da quella data, era inibito lo svolgimento di ogni attività sia nella officina che nel capannone e nelle aree esterne.
La Corte ha evidenziato la consapevolezza, in capo a uno degli imputati, della portata di tale inibizione, evidenziando come lo stesso aveva presentato una richiesta di accedere al sito per rimuovere i rifiuti metallici presenti, con accertamento, tuttavia, in data successiva, dello svolgimento, ivi, di attività lavorativa; oltre che con la precisazione, da parte dell’amministratore giudiziario, funzionale a sconfessare la tesi difensiva del ricorrente di essere stato in tal senso autorizzato, della assenza del rilascio di ogni tipo di autorizzazione al riguardo.
Quanto poi, alla specifica posizione dell’altro imputato e alla aggravante contestata, che non sarebbe estensibile al medesimo, deve rilevarsi che a fronte di esplicita richiesta di gravame formulata in tal senso, la Corte di appello non ha fornito puntuali e chiare risposte, con conseguente annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’aggravante riconosciuta a carico di quest’ultimo.
In tema di violazione di sigilli, la circostanza aggravante della qualità di custode, di cui al comma secondo dell’art. 349 c.p., si comunica ai concorrenti nel reato che siano a conoscenza o ignorino colpevolmente tale qualità, non rientrando la stessa tra quelle circostanze soggettive da valutarsi soltanto con riguardo alla persona cui si riferiscono.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte di Cassazione ritiene, pertanto, che debba essere annullata la sentenza impugnata limitatamente alla aggravante applicata a uno degli imputati con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello.
Acura di Marilena Sanfilippo