Continuazione tra partecipazione ad associazione di stampo mafioso e reati fine

Cass. pen., Sez. I, 12 dicembre 2024, sentenza n. 45783
LA MASSIMA
“La circostanza che un reato sia ritenuto aggravato ai sensi dell’art. 416-bis 1 cod. pen. non lo rende, per ciò solo, legato da un unico disegno criminoso alla partecipazione all’associazione, perché il medesimo disegno criminoso deve sussistere nel momento di ingresso nell’associazione, o comunque di commissione del primo reato in ordine temporale, laddove la finalità di agevolazione mafiosa può insorgere anche nel momento di commissione del reato-fine”.
IL CASO
La vicenda de qua prende le mosse da un’ordinanza della Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, che ha riconosciuto la sussistenza del “medesimo disegno criminoso” tra i reati-fine e il programma dell’associazione criminosa, ove sorretti da una volizione unitaria con l’adesione all’organizzazione criminale. L’ha esclusa, invece, con riferimento a un omicidio, eseguito senza ottenere il permesso del vertice dell’organizzazione criminale, e con riferimento ad altri reati associativi in quanto compiuti nel contesto della partecipazione da parte del condannato a una diversa associazione criminosa.
Avverso il predetto provvedimento, la difesa ha proposto ricorso per illogicità e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha riconosciuto la continuazione tra reati che sono stati commessi a otto anni di distanza dall’ingresso nell’associazione criminosa, escludendola invece con riferimento all’omicidio consumato pochi mesi dopo l’ingresso del ricorrente nell’associazione criminosa e per il quale, peraltro, era stata riconosciuta l’aggravante dell’agevolazione mafiosa.
È stato altresì contestato il mancato riconoscimento di una continuità tra le diverse associazioni mafiose per la partecipazione alle quali era intervenuta condanna, atteso che l’una era nata dalle ceneri dell’altra e che gli scopi, ovvero il traffico di stupefacenti, e il contesto spazio-temporale erano i medesimi.
In linea gradata, si è eccepito violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla quantificazione della pena per effetto della ritenuta parziale continuazione, in quanto considerata sproporzionata rispetto al titolo del reato satellite.
LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Corte Suprema attiene all’individuazione dei presupposti per l’applicabilità dell’istituto della continuazione tra il reato di partecipazione all’associazione mafiosa e i reati-fine, con particolare riferimento alla possibilità di presumere l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso” nell’ipotesi in cui un reato-fine risulti aggravato ex art. 416-bis 1 c.p.
LA SOLUZIONE
Nella sentenza in esame, la Cassazione ritiene infondato il ricorso. Preliminarmente, precisa i presupposti applicativi dell’istituto della continuazione, confermando l’orientamento già consolidatosi. La giurisprudenza di legittimità, infatti, è costante nel ricondurre la nozione di “medesimo disegno criminoso”, di cui all’art. 81, comma 2, c.p., a una rappresentazione, almeno sommaria o nelle linee essenziali, della commissione di una pluralità di fatti – reato che va distinta da una generica ed astratta deliberazione criminosa, priva di riferimento a specifici dati fattuali (Sez. Un., n. 28659 del 18 maggio 2017 e Cass. Sez. 1, n. 12905 del 17 marzo 2010).
La vicinanza temporale è certamente uno degli elementi da cui desumere l’esistenza di un unico disegno criminoso ma è da ritenersi recessiva di fronte alla ritenuta, e motivata, estemporaneità del reato commesso per secondo, idonea a escludere la continuazione pur in presenza di indici (il contesto di tempo e di luogo, le modalità esecutive, la comunanza di correi, il bene giuridico) di una volizione unitaria.
La circostanza, quindi, che un reato sia ritenuto aggravato ai sensi dell’art. 416-bis 1 c.p., non lo rende, per ciò solo, legato da un unico disegno criminoso alla partecipazione all’associazione, perché il medesimo disegno criminoso deve sussistere nel momento di ingresso nell’associazione, o comunque di commissione del primo reato in ordine temporale, laddove la finalità di agevolazione mafiosa può insorgere anche nel momento di commissione del reato-fine. Diversamente opinando, dovrebbe ritenersi che un reato-fine commesso nell’ambito di una associazione a delinquere debba essere sempre necessariamente sorretto da volizione unitaria con il reato di partecipazione alla stessa associazione, tesi che è stata più volte respinta dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. 1, n. 23818 del 22 giugno 2020 e Cass. Sez. 1, n. 40318 del 4 luglio 2013).
Quanto al rilievo del ricorrente circa la continuità tra le due associazioni mafiose per le quali era stato condannato, la Cassazione conferma l’inesistenza di una volizione unitaria. La nascita di un’associazione criminale dalle ceneri di un’altra presuppone, infatti, che la prima in ordine temporale si dissolva e detto accadimento non può essere previsto e voluto in occasione dell’adesione alla stessa.
La deduzione contenuta in ricorso secondo cui gli scopi e il contesto spazio-temporale della seconda associazione siano gli stessi della prima viene valutata inconferente perché si spende nell’evidenziare modalità di condotta sempre uguali e insufficienti a evidenziare l’unicità del momento deliberativo. La giurisprudenza di legittimità precisa, infatti, che, per individuare la volizione unitaria, “non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione” (Cass. Sez. 5, n. 20900 del 26 aprile 2021).
Analoga valutazione di infondatezza investe anche il terzo motivo, dovendosi ritenere correttamente quantificato l’aumento per la continuazione che non può considerarsi sproporzionato, visto che l’aumento di pena derivante dal riconoscimento della continuazione deve essere determinato in concreto in relazione al singolo fatto storico, e non al titolo di reato, e dipende dal valore ponderale che il giudice attribuisce a ciascun reato satellite posto in continuazione (cfr. Sez. Un., n. 47127 del 24 giugno 2021).