Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Ricettazione: la necessaria estraneità al reato presupposto

Cass. pen., Sez. II, 16 gennaio 2025, sentenza n. 1948

LA MASSIMA
“Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione non occorre la prova positiva che l’imputato non sia stato concorrente nel delitto presupposto, essendo sufficiente che non emerga la prova del contrario.”

IL CASO
Il ricorrente deduce una violazione di legge e una manifesta illogicità nella motivazione delle sentenze di merito, contestando la responsabilità a lui ascritta per i reati di cui agli artt. 648 e 648-bis c.p., ricettazione e riciclaggio di autovetture. Secondo quanto sostenuto, tale attribuzione risulterebbe in contrasto con le proprie dichiarazioni confessorie, nelle quali aveva dettagliatamente ammesso di essere l’autore dei furti delle autovetture in contestazione.
Egli censura, inoltre, la presunta contraddittorietà della motivazione adottata dalla Corte di appello, la quale, pur ritenendo inattendibili le confessioni in relazione alla derubricazione dei reati, le avrebbe valorizzate per riconoscere circostanze attenuanti generiche. Tale discrasia, secondo la difesa, minerebbe la coerenza logico-giuridica delle conclusioni raggiunte.
Si contesta, altresì, un errore nella qualificazione giuridica dei fatti, poiché le dichiarazioni autoaccusatorie sarebbero state circostanziate e suffragate da riscontri forniti dalla Polizia Giudiziaria, rendendo infondato il giudizio di inverosimiglianza.

LA QUESTIONE
Il nodo centrale della controversia riguarda la configurabilità del reato di ricettazione ex art 648 c.p., alla luce del principio giuridico secondo cui non è necessaria la prova positiva dell’estraneità dell’imputato al delitto presupposto, ma è sufficiente l’assenza di prova contraria. Questo principio ha orientato la decisione della Suprema Corte, che ha escluso la necessità di una prova diretta per configurare il reato.
Parallelamente, la questione della coerenza logica della motivazione si è focalizzata sull’utilizzo delle dichiarazioni confessorie dell’imputato, ritenute inattendibili per i furti ma utilizzate per riconoscere le attenuanti generiche.

LA SOLUZIONE
Nella decisione de qua, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, giudicandolo manifestamente infondato e privo di specificità.
Il ricorrente assumeva l’erroneità della qualificazione giuridica ritenuta dai giudici di merito, sostenendo che le dichiarazioni confessorie, ritenute inattendibili per escludere la derubricazione dei reati contestati, fossero state valorizzate per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato tale argomentazione, sottolineando che i giudici di merito hanno operato una valutazione distinta, attribuendo attendibilità alle confessioni limitatamente al riciclaggio ex art 648-bis c.p., non già a quelle concernenti i furti, difettando riscontri probatori idonei anche da parte della Polizia Giudiziaria.
In aggiunta, la Corte ha ribadito il principio secondo cui, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione ex art 648 c.p., non è richiesta una dimostrazione positiva dell’estraneità al delitto presupposto, risultando sufficiente l’assenza di una prova contraria, in ossequio alla consolidata giurisprudenza. La Suprema Corte ha altresì rilevato che le doglianze articolate nel ricorso si risolvessero in una pedissequa reiterazione delle censure già sollevate innanzi alla Corte d’appello, priva di una critica effettiva e puntuale alle motivazioni ivi addotte.
Le sentenze di merito, sorrette da una motivazione congrua, esauriente e logicamente coerente, sono state ritenute immuni da vizi di legittimità.
Per tali ragioni, il Supremo Consesso ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.