Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite: limiti al consenso

Cass. pen., Sez. V, 5 dicembre 2024, sentenza n. 44735

LA MASSIMA
“Per la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti è irrilevante la circostanza che la persona offesa avesse prestato il consenso alle riproduzioni fotografiche, e video, poiché detto consenso è necessario al momento della loro successiva diffusione. Integra quindi il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento.”

IL CASO
La Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale, assolveva l’imputato dal reato di atti persecutori e di danneggiamento, riducendo la pena inflitta per i rimanenti reati di diffusione di immagini o video sessualmente espliciti ex art. 612 ter comma 2 c.p. e di violenza privata, ai sensi dell’art. 610 c.p., con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Nello specifico, da un lato, la Corte di appello ha valutato inattendibili e contrastanti con altri elementi già acquisiti le dichiarazioni rese dalla persona offesa ed ha, perciò, ritenuto non provati né il delitto di atti persecutori né quello di danneggiamento, mentre dall’altro ha confermato il giudizio di colpevolezza in relazione ai reati di violenza privata – in quanto l’imputato aveva costretto la persona offesa ad arrestare la marcia del suo veicolo accostando il proprio veicolo a quello condotto da quest’ultima – e di diffusione di riproduzioni fotografiche e video riproducenti la persona offesa in atteggiamenti sessualmente espliciti, senza il consenso dell’interessata.
Avverso la sentenza della corte territoriale veniva presentato ricorso per Cassazione sia da parte dell’imputato che della parte civ ile.
In particolare, l’imputato, con il primo motivo lamentava l’avvenuta violazione di legge, in relazione all’art. 194 c.p.p., relativamente al reato di cui all’art. 610 c.p., in quanto non sarebbero state riscontrate le dichiarazioni rese dalla persona offesa, già ritenuta inattendibile dalla stessa Corte territoriale circa il delitto di atti persecutori.
Relativamente al secondo motivo, l’imputato censurava la sentenza per vizi di violazione di legge deducendo che le foto e il filmato oggetto di contestazione consegnati dalla persona offesa ai carabinieri, secondo la perizia tecnica espletata, non sarebbero stati trasmessi dall’imputato per la diffusione e che le foto erano già in possesso dei soggetti con cui l’imputato interloquiva, essendo state diffuse da altre persone in precedenza. Sul punto, l’imputato obiettava come la condanna non avesse superato il parametro dell’oltre ogni ragionevole dubbio per la prospettazione di una ricostruzione dei fatti alternativa.
Con terzo ed ultimo motivo, l’imputato sollevava vizi di violazione di legge e di motivazione, perché in relazione alla diffusione del filmato, la Corte territoriale avrebbe fondato la responsabilità dell’imputato solamente sulle dichiarazioni della persona offesa, ribadendo l’inattendibilità della stessa circa il reato di atti persecutori e specificando che la motivazione fornita non supererebbe, anche in tal caso, il ragionevole dubbio.
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione, invece, parte civile deduceva vizio di motivazione, richiamando il nuovo testo dell’art. 573 c.p.p., e di travisamento della prova in quanto la Corte territoriale avrebbe ignorato le dichiarazioni di alcuni soggetti inerenti a specifiche circostanze che, se correttamente valutate, avrebbero riscontrato la ricostruzione resa dalla persona offesa.

LA QUESTIONE
La Corte è chiamata a valutare, in primis, la correttezza della valutazione frazionata delle dichiarazioni della persona offesa relativamente al reato di atti persecutori. Inoltre, in ordine al secondo e al terzo motivo, la Corte deve valutare se, il consenso alle riproduzioni fotografiche e video assorba anche quello della loro successiva diffusione. Infine, la Corte è poi chiamata a valutare la correttezza delle valutazioni degli elementi probatori circa il reato di atti persecutori.

LA SOLUZIONE
La Corte accoglie solo parzialmente il ricorso dell’imputato, ritenendo fondato il primo motivo e infondati gli altri due. La Corte ha ritenuto inoltre inammissibile il ricorso di parte civile.
In ordine al primo motivo, la Corte territoriale non ha infatti valutato in modo logico i dati emersi nel corso delle indagini, ignorando le incongruenze narrative fra i testi esaminati, che invece sono state correttamente considerate per giustificare l’assoluzione dell’imputato dal reato di atti persecutori.
Infatti, richiamando precedenti pronunce, la Corte ha ritenuto illegittima la valutazione frazionata di tali dichiarazioni ove la parte ritenuta inattendibile sia imprescindibile antecedente logico dell’altra parte, nonostante, in linea generale, sia possibile una valutazione frazionata delle dichiarazioni della parte offesa in modo che, benché alcune circostanze possano essere ritenute inattendibili, ciò non inficia la credibilità di altre parti del racconto.
Invece, nel caso in esame, l’insussistenza del reato di atti persecutori correttamente valutata dalla Corte territoriale è logicamente interferente rispetto all’affermazione di responsabilità per il reato di violenza privata e, pertanto, la motivazione fornita dal giudice di merito è manifestatamente illogica.
La Corte ritiene invece infondati il secondo e terzo motivo di ricorso. Invero, l’imputato vorrebbe una rivalutazione del materiale probatorio acquisito, senza però adempiere al relativo onere probatorio. La Corte, inoltre, sottolinea come il ricorrente non abbia dato rilievo al fatto che le dichiarazioni della persona offesa sulla diffusione, ad opera dello stesso, di fotografie che la ritraevano in atteggiamenti sessualmente espliciti, senza il consenso della medesima, risultino oggettivamente suffragate dalla visione dei contenuti della chat Whatsapp a disposizione degli inquirenti, oggetto di sequestro e di esame da parte di perito tecnico informatico. Sul punto, invero, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto irrilevante sia il consenso prestato dalla persona offesa alle riproduzioni fotografiche e video, ma non evidentemente alla successiva loro diffusione, sia il fatto che la medesima abbia personalmente condiviso con altra persona una delle stesse fotografie. Quanto ora affermato trova infatti il favore della Corte di Legittimità, la quale ha già sancito come integri il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti la condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito, anche dalla stessa persona ritratta, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso della persona rappresentata, al fine specifico di recarle nocumento.
Relativamente al ricorso proposto dalla parte civile, la Corte considera lo stesso inammissibile, in quanto le evidenze probatorie circa il reato di atti persecutori sono state valutate correttamente dalla Corte territoriale.
Pertanto, in virtù di quanto affermato, la Corte ha annullato la sentenza impugnata in relazione al reato di violenza privata, respingendo, invece, gli ulteriori motivi proposti dall’imputato e dichiarando, d’altro lato, inammissibile il ricorso proposto dalla parte civile condannando la stessa al pagamento delle spese processuali.