Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Connivenza non punibile e concorso nel delitto di traffico di stupefacenti

Cass. pen., Sez. V, 31 gennaio 2025, sentenza n. 3884

LA MASSIMA
“La distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 cod. pen., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare”.

IL CASO
La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi sulla correttezza della valutazione operata dal Tribunale del Riesame nel confermare l’ordinanza di applicazione della misura cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari sulla scorta dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di trasporto e cessione di stupefacenti, aggravati dalla finalità di agevolazione mafiosa. In particolare, con il primo motivo di gravame si denunciava la mancata valorizzazione delle circostanze che farebbero propendere per una condotta di partecipazione del ricorrente, in luogo di quella di mera connivenza non punibile. Il Tribunale del Riesame, infatti, avrebbe considerato unicamente il dato della presenza del ricorrente in occasione della cessione dello stupefacente, senza motivare in ordine all’effettivo contributo da questi apportato all’operazione.

LA QUESTIONE
Con sentenza che rigetta il ricorso, i giudici di legittimità – confermando l’orientamento già cristallizzatosi sul punto – si sono occupati della distinzione tra l’ambito di applicazione del concorso di persone nel delitto e quello della connivenza non punibile, con particolare riguardo alla materia degli stupefacenti.

LA SOLUZIONE
Per quanto strettamente d’interesse in questa sede, è reputata infondata la doglianza del ricorrente volta a censurare il vizio di apparenza della motivazione in ordine all’effettiva ricorrenza di indizi di reità in relazione al delitto di cessione di sostanza stupefacente.
A tal riguardo, la Corte di Cassazione precisa come il controllo di legittimità sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. non possa in alcun modo riguardare né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la concludenza dei dati probatori. L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è rilevabile in Cassazione solo se si traduca in violazione di specifiche norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo impugnato.
Sotto tale profilo, la motivazione del Tribunale del Riesame non appare né mancante né manifestamente illogica, avendo essa evidenziato gli elementi da cui è possibile desumere che il ricorrente abbia apportato un contributo significativo alla commissione del delitto e sia stato direttamente coinvolto nell’azione delittuosa. Tra questi, il fatto che il ricorrente fosse presente nel momento iniziale dell’operazione, seduto accanto al conducente dell’autovettura mentre gli altri correi discutevano della consegna della droga; la collaborazione prestata nel momento in cui era stato agganciato il veicolo dell’acquirente nel luogo convenuto per la consegna, dando chiaro segnale della loro presenza e indicazioni all’acquirente di seguirli; l’inverosimiglianza delle dichiarazioni rese in sede di esame circa la non conoscenza dei soggetti con cui si accompagnava e del fatto che fossero coinvolti nel traffico di stupefacenti; il coinvolgimento del ricorrente anche in altra vicenda concernente il trasporto di sostanze stupefacenti.
In tal senso, la prospettazione della diversa qualificabilità della condotta contestata in termini di mera connivenza non punibile non appare condivisibile. Ciò sulla scorta del costante insegnamento della Corte di Cassazione secondo cui la distinzione tra l’ipotesi della connivenza non punibile e il concorso nel delitto, con specifico riguardo alla disciplina degli stupefacenti, va ravvisata nel fatto che, mentre la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, nel concorso di persone ex art. 110 cod. pen., è invece richiesto un consapevole contributo che può manifestarsi anche in forme che agevolino il proposito criminoso del concorrente, garantendogli una certa sicurezza o, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale poter contare.
Gli Ermellini precisano, dunque, che non può dar luogo a concorso morale la semplice presenza inattiva del soggetto, dovendo il giudice di merito evidenziare il rapporto di causalità efficiente tra l’attività incentivante del concorso morale e quella posta in essere dall’autore materiale del reato. Sotto tale profilo, si ribadisce come il provvedimento impugnato abbia ampiamente motivato circa la sussistenza di elementi indicativi di un contributo partecipativo del ricorrente alla condotta delittuosa altrui.
A diverse conclusioni non potrebbe giungersi nemmeno valorizzando la deduzione difensiva in ordine alla mancanza di elementi da cui desumere la partecipazione del ricorrente anche alla fase iniziale dell’operazione. Infatti, si rammenta come, in tema di stupefacenti, il momento consumativo delle condotte descritte dall’art. 73 D.P.R. 309/90 si protragga fino all’ultimo segmento della sequenza. Laddove ad una delle condotte partecipi un soggetto che non aveva preso parte alla condotta precedente, non per questo egli sarà da reputarsi estraneo al concorso nel reato, quando risulti che abbia preso parte a una frazione significativa del delitto unitario contestato che, ove giunga al momento della cessione, assorbe in sé il previo accordo.