Cassazione, Diritto Penale, Sentenze

Morte da abuso di stupefacenti e responsabilità dello spacciatore

Cass. pen. Sez. V, 28 febbraio 2025, sentenza n. 8356

LE MASSIME
“Ai fini dell’imputazione della conseguenza non voluta di un reato-base doloso, la colpa non può essere presunta in forza della sola violazione della legge incriminatrice del reato doloso. Occorre, invece, che l’agente abbia violato una regola cautelare diversa dalla norma che incrimina il delitto base e che sia specificamente diretta a prevenire la morte o le lesioni personali, richiedendosi una valutazione positiva di prevedibilità ed evitabilità in concreto dell’evento, compiuta ex ante, sulla base del comportamento che sarebbe stato tenuto da un omologo agente modello, tenendo peraltro conto di tutte le circostanze della concreta e reale situazione di fatto. Si dovrà, pertanto, verificare se, dal punto di vista di un agente modello, nella situazione concreta, risultava prevedibile l’evento morte come conseguenza illecita tenuta dall’agente.”

Cn specifico riferimento alla situazione, qui rilevante, della morte conseguita alla assunzione di sostanza stupefacente ceduta da terzi, che l’evento sarà imputabile al cedente a titolo di colpa, ove dalle circostanze del caso concreto risulti evidente un concreto pericolo per l’incolumità dell’assuntore o comunque rimanga un dubbio in ordine all’effettiva pericolosità dell’azione, tali da dover indurre l’agente ad astenersi dall’azione. Ne discende che il coefficiente psicologico colposo […] deve essere valutato con esclusivo riferimento al momento di verificazione dell’evento-morte o più latamente invasivo, ma in quanto eziologicamente collegato, sotto il profilo oggettivo, al delitto doloso antecedente; tanto impone che la violazione della regola precauzionale, da cui discenda l’attribuzione della responsabilità per l’evento lesivo, debba essere ricavata dalla condotta dolosa che ne costituisce antecedente causale”.

IL CASO
La vicenda in esame trae origine dalla decisione con la quale la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal G.U.P. del Tribunale resa all’esisto del giudizio abbreviato, ha rideterminato la pena inflitta all’imputato in relazione ai reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 73, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 586 c.p., disponendo, altresì, la sospensione condizionale della pena.
Segnatamente, all’imputato veniva contestata la cessione di sostanze stupefacenti e di aver cagionato la morte dell’assuntore per intossicazione.
Pertanto, avverso la decisione l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, censurando, tra gli altri, il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del nesso di causalità tra le cessioni e il decesso della vittima.
Il ricorrente evidenziava l’assenza di prove in merito alla cessione della sostanza stupefacente alla vittima e, in ogni caso, che l’acquisto di droga era avvenuto su richiesta di quest’ultima, la quale gli aveva fornito il denaro necessario.

LA QUESTIONE
La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte attiene alle modalità di accertamento dell’elemento soggettivo in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, di cui all’art. 586 c.p., le quali non differiscono nell’ipotesi di morte conseguente alla cessione illecita di sostanze stupefacenti, non potendosi la colpa ritenersi presunta in forza della sola stessa norma penale che incrimina la cessione dello stupefacente.

LA SOLUZIONE
La sezione V della Corte di Cassazione, rimettendosi alla giurisprudenza oramai consolidatasi, ha ribadito che, in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente allorquando, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale, con prevedibilità ed evitabilità dell’evento, da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale.
Dunque, la responsabilità del cedente può essere ravvisabile quando sia accertata la sussistenza, da un lato, di un nesso di causalità fra la cessione e l’evento morte o lesioni, non interrotto da fattori eccezionali sopravvenuti, e, dall’altro, che l’evento non voluto sia comunque soggettivamente collegabile all’agente, ovvero sia a lui rimproverabile a titolo di colpa in concreto, valutata secondo i normali criteri di valutazione della colpa nei reati colposi.
Segnatamente, la Suprema Corte, rammentando la sentenza n. 322 del 2007 della Corte Costituzionale, la quale ha chiarito che, nell’ambito delle diverse forme di colpevolezza, il legislatore può graduare il coefficiente psicologico di partecipazione dell’autore al fatto, in rapporto alla natura della fattispecie e degli interessi che debbono essere preservati, pretendendo dall’agente un particolare impegno nell’evitare la lesione del valori esposti a rischio da determinate attività, ha osservato come il legislatore ha voluto che l’agente sia tenuto a prendere in considerazione tutte le eventuali circostanze del caso concreto e a desistere dall’azione (ossia dalla cessione dello stupefacente) sia quando taluna di queste circostanze evidenzi un concreto pericolo per l’incolumità dell’assuntore, e sia anche quando rimanga in concreto un dubbio in ordine alla effettiva pericolosità della stessa.
Lo spacciatore può, pertanto, ritenersi esente da colpa quando una attenta e prudente valutazione di tutte le circostanze del caso concreto non faccia prevedere l’evento morte o lesioni.
La colpa può, invece, essere ravvisabile quando la morte sia prevedibile, ed anche quando non sia prevista perché una circostanza pericolosa sia stata ignorata per colpa o sia stata erroneamente valutata, sempre per colpa.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha chiarito come la colpa non possa essere ravvisata nella prevedibilità in astratto dell’evento morte, desunta dalla presunta frequenza, o dalla notorietà, o dalla ordinarietà di tale evento in seguito alla assunzione di sostanza stupefacente, dovendosi accertare sempre e soltanto in concreto, sulla base delle circostanze di fatto di cui il soggetto era o poteva essere a conoscenza e che dimostravano il concreto pericolo di un evento letale a seguito dell’assunzione di una determinata dose di droga da parte dello specifico soggetto.
A fronte delle predette indicazioni, la Corte, ribadendo che al cedente lo stupefacente è richiesto un particolare livello di attenzione e di prudenza, sicché lo stesso può essere ritenuto incolpa qualora non si sia astenuto dal cedere lo stupefacente dinanzi ad una circostanza dal significato equivoco, ha dichiarato immeritevole di accoglimento il motivo sopra esposto, atteso che il ricorrente era a conoscenza delle abitudini della vittima di fare uso massiccio di sostanze stupefacenti, riferendo, peraltro, di essere a conoscenza degli effetti provocati dalla sostanza ceduta, e, quindi, del rischio maggiore di intossicazione acuta in caso di assunzione di più dosi in un breve arco temporale, come accaduto nel caso di specie.